in questo capitolo:
INTRODUZIONE
Rompere i meccanismi di riproduzione delle disuguaglianze per stimolare una nuova mobilità ascendente
Le democrazie moderne in Europa sono nate con la promessa di costruire società basate sui principi fondamentali di libertà e uguaglianza. L’istruzione, la salute, il lavoro, la rappresentanza politica sono passati da essere un privilegio di ristrette minoranze ad essere diritti riconosciuti universalmente sanciti dalle costituzioni. Ciononostante, siamo ancora lontani dall’ideale di una società equa. Negli ultimi anni, le disuguaglianze sono tornate a crescere. Da un lato, a causa del susseguirsi di gravi crisi economiche, climatiche, politiche e sanitarie; dall’altro, di un modello di capitalismo finanziario che negli ultimi decenni ha portato a concentrare nelle mani di pochi una quota spropositata di risorse, creando nuove classi privilegiate. Le nuove generazioni saranno le prime a sperimentare livelli di reddito inferiori a quelli dei genitori, mentre è in aumento il tasso di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà in tutto il continente europeo1Nel 2020 si contavano 75,3 milioni di persone a rischio di povertà nell’Ue, 27,6 milioni erano invece gravemente indigenti materialmente e socialmente. (Eurostat, 2020). ESPANDI
PRINCIPALI EVIDENZE
In Italia, l’accesso ai titoli di studio terziari dei figli in relazione al titolo di studio della famiglia di origine è distribuito in modo abbastanza omogeneo
La quota di italiani in possesso di un titolo di studio terziario è ripartita in maniera abbastanza omogenea (figura 1): i genitori della maggior parte dei laureati italiani (39.4%), ha conseguito al più un titolo di studio secondario superiore (diploma), seguono i laureati con genitori in possesso di un titolo di studio secondario inferiore, in Italia la cosiddetta licenza media (33,8%), mentre poco più di un laureato italiano su quattro (26.8%) ha almeno un genitore laureato. La quota di laureati che proviene da famiglie poco istruite è significativamente più alta della media europea (circa 6 punti percentuali), mentre la quota di laureati che proviene da famiglie di laureati supera, di pochi punti percentuali, solamente le corrispettive quote in Romania (24.5%) e Portogallo (25%).
In Italia, la probabilità di ottenere un titolo di studio elevato sembra essere meno influenzata dal livello di istruzione della generazione precedente. Inoltre, l’accesso all’istruzione universitaria non è una prerogativa esclusiva delle famiglie che hanno già raggiunto alti livelli di istruzione. Almeno dal punto di vista del livello di istruzione, la scuola italiana sembra dunque garantire un buon livello di mobilità intergenerazionale rispetto ad altri contesti nazionali3 Le quote più alte di laureati che provengono dai contesti famigliari meno istruiti si registrano in Portogallo (60%), Spagna (52.3%), dove oltre la metà dei laureati proviene da famiglie in cui il titolo di studio più elevato raggiunto era quello di istruzione secondaria inferiore. In altre nazioni la proporzione tra laureati provenienti da famiglie meno istruite e molto istruite è decisamente più sbilanciata: in Germania, ad esempio, quasi il 60% dei laureati ha almeno un genitore laureato contro il quasi 10% di laureati con genitori che hanno raggiunto al massimo un titolo di studio secondario inferiore, un simile rapporto è osservabile anche in Estonia e Norvegia.. Tuttavia, la quota sensibilmente superiore alla media europea di laureati provenienti da contesti familiari poco istruiti può dipendere dal basso livello medio di scolarizzazione delle coorti dei genitori4 Per evitare una lettura fuorviante dei dati presentati è necessario ricordare che in questo grafico sono stati considerati i laureati compresi tra 25 e 59 anni, una popolazione di riferimento che comprende al suo interno diverse generazioni, che si espande ulteriormente considerando che il dato è espresso in relazione al titolo di studio dei genitori. Come anticipato il grado di scolarità delle società europee è cresciuto costantemente durante il XX secolo, seppur seguendo un andamento diverso a seconda dei differenti contesti nazionali. Per cui l’elevata quota di laureati con genitori che hanno raggiunto bassi livelli di istruzione osservabile in alcuni Stati può dipendere dal livello di istruzione della generazione dei genitori mediamente molto più basso rispetto ad altre Nazioni..
Fondamentali in questo passaggio si rivelano la struttura del sistema scolastico e l’orientamento. In Italia la scelta del percorso avviene al termine del ciclo di scuola media inferiore ed è indirizzata dall’istituzione scolastica in maniera molto meno rigida rispetto ad altri paesi (es. Germania)5 In Germania il sistema scolastico ha una grande influenza sulle scelte dei giovani studenti che devono decidere a soli dieci anni se intraprendere un percorso di studi propedeutico al successivo accesso all’università o altri percorsi di istruzione tecnici e professionali, sebbene questa scelta non sia vincolante. L’orientamento alla scelta dell’indirizzo di studio avviene sulla base dei risultati scolastici raggiunti e di test attitudinali., sebbene permangano anche in Italia meccanismi che contribuiscono a trasmettere le diseguaglianze in senso intergenerazionale (M. Romito, 2014; M. Carlana, et al., 2022)6 In Italia, come emerge da alcuni studi, gli insegnanti tendono a consigliare con più frequenza percorsi liceali agli studenti provenienti da famiglie benestanti anche a fronte di risultati scolastici modesti. Al contrario gli studenti provenienti da contesti familiari svantaggiati dal punto di vista socio-economico, come i figli di immigrati, sono indirizzati più spesso verso percorsi di istruzione professionale, anche nel caso in cui il loro rendimento scolastico sia molto alto. Altre ricerche (Think Tank Tortuga, 2021) mostrano come l’influenza esercitata della famiglia sui ragazzi nella scelta della scuola secondaria di secondo grado sia maggiore rispetto a quella esercitata dagli insegnanti. Entrambi questi meccanismi contribuiscono a facilitare la trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze, depotenziando l’efficacia dell’istruzione pubblica come leva per innescare percorsi di mobilità ascendente.. Cruciale si rivela un sistema efficace e coerente di orientamento, sia nel passaggio tra scuole secondarie di primo e secondo grado, sia nel passaggio all’istruzione terziaria o al mondo del lavoro. In particolare, le ricerche confermano che migliorare la qualità e la completezza dell’informazione fornita alle famiglie, specialmente quelle più svantaggiate dal punto di vista socioeconomico, riguardo alle possibili alternative scolastiche, implementando percorsi di orientamento che accompagnino gli studenti e le loro famiglie con largo anticipo rispetto al momento effettivo della scelta, può produrre effetti positivi sulla futura carriera scolastica e prevenire il rischio di abbandono (IGIER-Bocconi, 2015).
Titolo di studio e condizione economica della famiglia proteggono i figli dal rischio di povertà
Il titolo di studio della famiglia di provenienza ha un impatto significativo sulla probabilità dei figli di ritrovarsi in una condizione a rischio di povertà.7 Per tasso di rischio di povertà si intende la quota di persone con un reddito disponibile equivalente (dopo eventuali trattamenti di protezione sociale) al di sotto della soglia di povertà, che è fissata al 60 % del reddito disponibile equivalente mediano nazionale.
Più di un italiano su cinque è a rischio di povertà se il titolo di studio più elevato dei genitori è la licenza media (figura 2), quota che quasi si dimezza, se almeno uno dei genitori è diplomato (figura 3) e scende ulteriormente (9%) nel caso di genitori laureati (figura 4).8 Occorre ricordare che il titolo di studio ottenuto dai genitori protegge i figli dal rischio di entrare in condizione di povertà con intensità differenti a seconda dei diversi contesti nazionali: gli stati in cui la percentuale di persone a rischio di povertà è molto alta per chi proviene da famiglie poco istruite o molto bassa per chi proviene da famiglie molto istruite, risultano meno mobili poiché è più probabile che le disuguaglianze di reddito e altre forme di svantaggio o di vantaggio socio-economico, vengano trasmesse tra generazioni. Anche la condizione economica della famiglia di provenienza esercita una grande influenza sulla probabilità dei figli di ritrovarsi a rischio di povertà: in Italia è a rischio povertà circa il 30% delle persone provenienti da una famiglia che versava in difficili condizioni economico-finanziarie, circa il doppio di chi può vantare un background economico più solido (figura 5).9 La riproduzione intergenerazionale di una condizione economica svantaggiata è più marcata soltanto in due Paesi europei: Romania e Bulgaria. Nelle nazioni europee in cui la quota di cittadini a rischio di povertà è più bassa, l’influenza delle condizioni economiche della famiglia di origine è molto più contenuta, se non nulla.
La condizione economica della famiglia di origine ha un impatto sulla capacità dei figli di soddisfare le proprie esigenze senza difficoltà una volta raggiunta l’età adulta (figura 6) . Tra gli italiani che riescono a soddisfare senza problemi le proprie esigenze, meno di uno su tre proviene da una famiglia in difficoltà economiche, dato lievemente più elevato della media europea (29%)10 Gli stati europei in cui riesce a soddisfare le proprie esigenze senza difficoltà una quota simile di persone che provengono sia da contesti famigliari economicamente svantaggiati, sia da famiglie più benestanti, in teoria dovrebbero garantire una maggiore mobilità sociale. È necessario ricordare che ogni indicatore è influenzato da molteplici fattori che riflettono le caratteristiche peculiari di ogni singolo contesto nazionale. Inoltre, occorre prestare attenzione alle definizioni e ai criteri con cui sono costruiti gli indicatori stessi. Se ad esempio la soglia che determina il rischio di povertà è un parametro oggettivo stabilito in base al reddito mediano nazionale, la capacità di soddisfare le proprie necessità facilmente o la condizione economica della famiglia di provenienza sono determinati in base alla percezione soggettiva dei rispondenti alla survey EU-SILC..
Complessivamente, in Italia si osserva un buon livello di mobilità intergenerazionale per quanto riguarda l’accesso ai titoli di studio più elevati, anche se questo risultato è condizionato da un tasso di laureati, o in possesso di altri titoli terziari, tra i più bassi a livello europeo. Ciononostante, lo status socioeconomico delle famiglie di origine incide in maniera significativa sulla probabilità dei figli di ritrovarsi in una condizione a rischio di povertà e sulla capacità di soddisfare le proprie esigenze.
Mobilità sociale e riproduzione delle disuguaglianze: percezioni e realtà si influenzano reciprocamente11 Le differenti possibilità di mobilità sociale ascendente intergenerazionale si riflettono sulla percezione che i cittadini dei diversi paesi europei maturano riguardo a ciò che è importante o necessario per costruire il proprio futuro e più in generale sul grado di equità, giustizia e meritocrazia sperimentato nelle loro vite.
Da una recente survey che ha chiesto ai cittadini europei di esprimersi in merito a quali fattori fossero più importanti per andare avanti nella vita emerge come i cittadini provenienti da contesti nazionali più statici, in cui è elevato il livello di trasmissione intergenerazionale di svantaggi socio-economici, attribuiscano maggiore importanza a caratteristiche ascritte, come la provenienza da una famiglia benestante, o a fattori esterni che non dipendono dalle scelte e dalle capacità dell’individuo come la conoscenza delle persone “giuste” e la fortuna. Solo l’11% degli intervistati italiani reputa poco importante la condizione economica della famiglia di origine, rispetto al 35% della media europea (figura 7); mentre il 28% degli italiani considera essenziale la conoscenza delle persone giuste per avanzare nella vita, 6 punti percentuali in più rispetto alla media europea (figura 8), dato che sembra confermare lo stereotipo di un mercato del lavoro italiano basato su meccanismi di selezione e ingresso più arretrati e condizionati dal sistema di relazioni locali.
Per il 38% degli italiani intervistati la fortuna è un elemento essenziale per il successo dei percorsi di vita (figura 9), un dato che dipinge una società italiana molto più fatalista rispetto alla media europea. Inoltre, in Italia è più diffusa la percezione dello svantaggio di genere nei confronti delle donne (figura 10): solo per il 35% degli italiani, non conta essere uomo o donna per avere successo nella vita, contro il 50% della media europea.
Meno scontato è il nesso tra importanza percepita e mobilità sociale per i fattori che sono più facilmente controllabili dagli individui: la percentuale di italiani intervistati che reputano essenziale per andare avanti nella vita avere una buona istruzione (34%) e lavorare con impegno (26%) si scosta solamente di un punto percentuale rispetto alla media europea (figura 11 e figura 12), nonostante da altri indicatori emerga l’immagine di un Paese in cui la mobilità sociale intergenerazionale è abbastanza bloccata e prevale un certo fatalismo12 La scarsa corrispondenza tra il livello di mobilità sociale che emerge da indicatori più oggettivi e quella percepita è ancora più evidente se si osserva il dato relativo all’importanza attribuita all’istruzione in Germania e in Francia: i due paesi si posizionano agli estremi opposti. Solo il 15% degli intervistati francesi reputa il raggiungimento di un buon livello di istruzione un fattore essenziale per andare avanti nella vita contro il 56% degli intervistati tedeschi, inoltre, quasi un francese su cinque non reputa l’istruzione tra i fattori importanti, rispetto all’1% dei tedeschi che ha indicato la stessa risposta. Eppure, la società francese risultava molto più dinamica rispetto a quella tedesca secondo la maggior parte degli indicatori relativi alla trasmissione intergenerazionale degli svantaggi socioeconomici passati in rassegna. In particolare, la Francia si posiziona tra le prime posizioni per percentuale di laureati provenienti da famiglie poco istruite, mentre in Germania la stessa quota era molto esigua. Si possono fare analoghe considerazioni rispetto ad altre nazioni con simili discrepanze tra indicatori di mobilità sociale “oggettiva” e percepita. .
I cittadini europei percepiscono un grado più elevato di equità, merito e giustizia, a livello individuale rispetto a quello collettivo nazionale
Da una indagine di Eurobarometro emerge tra gli intervistati italiani una diffusa percezione di disuguaglianza nelle opportunità di costruire un percorso di vita soddisfacente: solo il 45% degli italiani sente di avere le stesse opportunità degli altri per andare avanti nella vita, contro il 58% della media europea (figura 13).13 Mentre circa il 30% non è d’accordo con tale affermazione
Ancora più ristretta è la percentuale degli italiani convinti che rispetto al passato vi sia meno disparità di opportunità nel nostro Paese (38%), anche se quasi lo stesso numero di persone è invece in disaccordo con questa affermazione (32%) (figura 14). Il 43% di rispondenti italiani è convinto che la giustizia solitamente prevalga sull’ingiustizia (figura 15), dimostrando di essere più ottimista rispetto alla media europea (39%). Mentre, considerando la percezione individuale di giustizia, una quota di italiani inferiore rispetto alla media europea (44% rispetto al 53%) percepisce come “giusti” la maggior parte degli avvenimenti che accadono nella loro vita (figura 16).
Non ultimo, la media europea di persone che percepiscono prevalentemente un senso di equità riguardo alle decisioni prese nei loro confronti è circa il doppio rispetto alla media di chi afferma che in generale le persone ottengono ciò che meritano nel loro paese (figura 17 e figura 18). Lo scarto tra una visione della vita mediamente positiva a livello individuale (per quanto riguarda giustizia, equità e merito) e una diffusa percezione di ingiustizia e disuguaglianza a livello collettivo sembra suggerire che mediamente in Europa le persone hanno una percezione del proprio contesto nazionale più pessimista rispetto alla realtà.
Chi vive in una società segnata da disuguaglianze di reddito tende di più a giustificare queste disparità se esse sono percepite come fondate su criteri meritocratici
In Italia e in molte altre nazioni europee, la percezione di una società bloccata in cui conta soprattutto il background socioeconomico, le relazioni sociali e la fortuna per avere successo nella vita, rinforza un fatalistico e diffuso senso di ingiustizia che crea malcontento e scoraggiamento, soprattutto nelle giovani generazioni (M. Colagrossi et al., 2020) 14 Diverso è il caso, ad esempio, degli Stati Uniti, una società caratterizzata da profonde disuguaglianze socioeconomiche, ma dove la diffusa percezione di una società molto mobile, in cui è possibile migliorare la propria condizione sociale grazie alla volontà e al merito del singolo individuo, si riflette in un generale senso di giustizia percepito dalla popolazione, pur trattandosi di una percezione sovrastimata e non aderente alla realtà.. La sensazione di avere un destino già segnato, più pessimistica e meno aderente al reale livello di mobilità della società italiana, si configura come una profezia che si auto adempie. La visione di una società bloccata in cui, a meno di determinate condizioni predeterminate o esterne al controllo dell’individuo, è impossibile emergere, produce una diffusa demotivazione che può condurre a una riduzione delle aspettative di carriera e auto-realizzazione. A sua volta questo processo ha un impatto sulla reale riduzione della mobilità sociale ascendente (ibidem)15Esistono diversi studi che enfatizzano il ruolo che equità e giustizia possono ricoprire nello sviluppo di una società economicamente competitiva, efficiente e coesa, soprattutto a livello locale, regionale e urbano. Realtà e percezioni si influenzano reciprocamente innescando potenziali circoli virtuosi che portano benefici economici e sociali per l’intera comunità. Un contesto sociale in cui prevale una percezione di giustizia ed equità nelle opportunità di vita può avere un impatto significativo anche sulle reali capacità di crescita economica e produttiva di un territorio. .
POLICY
La Flexicurity e il modello danese
La mobilità sociale e il gap intergenerazionale sono un fenomeno estremamente complesso e non possono essere mai l’effetto di una sola policy o di un solo settore di policy. In generale, per quanto la mobilità sociale, che è una delle principali proxy per dimostrare il carattere egualitario di un paese, appaia nel programma di molteplici governi, sia di livello nazionale che locale, non appare comunque dato riscontrare alcun programma di politiche specifico che ponga tale obiettivo come leading subject del proprio sviluppo.
Resta il fatto che in termini generativi, senza l’effetto di autorizzazione e di connessione intertemporale che in un sistema orientato alla mobilità sociale e intergenerazionale si produce, un paese rischia, come buona parte dell’Occidente e dell’Italia in particolare stanno sperimentando, di ritrovarsi bloccato “all’origine” nella propria possibilità di immaginare e progettare il futuro e di assumere decisioni e sviluppare valore in una logica di medio-lungo periodo.
La Danimarca, nonostante un evidente declino delle proprie performance “egualitarie” negli ultimi cinque anni, è stabilmente ai primi posti della classifica mondiale dei paesi con la migliore mobilità sociale da oltre trent’anni (WEF, 2020).
Tale risultato, oggetto di numerosissimi studi internazionali, non è il risultato di una singola policy ma piuttosto l’effetto di un combinato disposto politico, economico, culturale e sociale che è stato narrato e sintetizzato sotto l’etichetta di “flexicurity model” (P. K. Madsen, 2004).
Il modello in questione si è sviluppato negli anni partendo dal riconoscimento pubblico del fatto che nel medio-lungo termine, la presenza diffusa di diseguaglianze di reddito ed opportunità e di forme di segregazione, costituisca per un paese un freno alla crescita e allo sviluppo (J. J. Heckman e R. Landersø, 2021).
Inoltre, le policy danesi hanno assunto come nevralgiche per il contrasto alla segregazione sociale le misure che sostengono e accompagnano durante il ciclo di vita le persone e le famiglie, ponendo al centro la considerazione dei rischi che possono verificarsi nelle transizioni e la loro assicurazione in una logica universalistica mediante trasferimenti e servizi che possano intervenire in modo adeguato (A. Ilsøe, 2007).
In una logica generativa, ciò ha significato partire dal riconoscimento di alcuni dati di realtà e costruire un sistema che ponesse alla propria base la capacità di abilitare le persone ad affrontare con un adeguato sostegno le proprie transizioni critiche, che guardasse allo sviluppo nel lungo periodo e non solo nel breve, che considerasse tutto il ciclo di vita come oggetto di policy integrate e unitarie nello scopo, che favorisse una narrazione sociale coesa e orientata alla corresponsabilità ed al sostegno solidale.
Ciò è avvenuto coniugando, in modo variabile nel tempo:
- un sistema di welfare particolarmente generoso;
- un sistema fiscale altamente redistributivo, sia tra le classi di reddito che tra le generazioni;
- servizi alla prima infanzia e alle famiglie diffusi su tutto il territorio;
- un sistema educativo gratuito ed inclusivo;
- politiche concrete e diffuse per l’istruzione e l’apprendimento permanente e l’adeguamento delle competenze rispetto alle modificazioni del mercato del lavoro;
- un mercato del lavoro flessibile e aperto ai giovani ma al tempo stesso capace di proteggere il reddito delle persone nei periodi di transizione;
- una serie di politiche abitative ed urbanistiche orientate ad evitare la segregazione e a favorire i giovani;
- un sistema di trasporti pubblici efficace ed accessibile;
- politiche migratorie chiare, aperte ma altrettanto rigorose.
Incidono ovviamente sulla promozione della mobilità sociale anche fattori culturali ed economie di scala che il paese scandinavo è riuscito negli anni a mettere efficacemente a sistema, anche se le transizioni attuali appaiono anche per esso particolarmente sfidanti.
Se è vero che la mobilità sociale non può mai essere l’effetto di una sola policy o di un solo campo di politiche, è altrettanto vero che, come dimostrano i dati internazionali sulla mobilità e le relative classifiche, è sufficiente che si indebolisca l’attenzione in alcuni di essi, come ad esempio la struttura del mercato del lavoro, per generare, nel medio periodo, significativi rallentamenti delle performance (Oecd, 2018). Come i più recenti dati sembrano dimostrare, anche un sistema efficace come quello danese, essendo stato costruito su una matrice culturale sostanzialmente liberista ed economy-driven, non è riuscito a superare indenne le successive crisi economiche che dal 2007-2008 hanno colpito l’Occidente e la stessa Danimarca, che pure risulta ancora il best performer globale in tale ambito, appare oggi in significativa difficoltà di adattamento (K. T. Kreiner e M. Svarer, 2022).
Tanto peggio accade in paesi, come l’Italia, che presentano alti tassi di diseguaglianza e una mobilità sociale sostanzialmente bloccata da anni e connotata da differenziali generazionali e geografici assai importante, dove non sussistono politiche strutturali che abbiano l’obiettivo di promuovere la mobilità sociale; gli effetti ottenuti in questo senso durante il periodo del boom economico e dello sviluppo di un welfare gratuito ed universale, almeno rispetto alla scuola e alla sanità, sono qui ormai assorbiti dal mutato contesto socioeconomico e la promozione della mobilità appare consegnata più all’iniziativa locale di singole istituzioni e comunità che a un disegno organico di policy intenzionali.
RISORSE
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