in questo capitolo:
INTRODUZIONE
Un blocco demografico destinato a perdurare, tra le spinte dell’individualizzazione e il desiderio di mettere al mondo
La demografia rappresenta il fondamento di ogni società: le dinamiche ad essa legate determinano il profilo presente e lo sviluppo futuro di un Paese, con decisivi effetti sulla sua sostenibilità nel tempo. Per questo, l’interpretazione dell’evoluzione degli equilibri intergenerazionali costituisce la premessa necessaria per il decisore politico nelle scelte di governo e indirizzo degli interventi negli ambiti legati a natalità, invecchiamento e migrazioni, e più in generale allo sviluppo della società nel suo complesso.
L’evoluzione del profilo demografico del nostro Paese rivela oggi elementi di insostenibilità: dopo un boom demografico generalizzato, ci si scontra ormai da anni con un blocco demografico che pare destinato a perdurare e che vede il declino della natalità a fronte di un progressivo invecchiamento della popolazione, evoluzione che neanche la dinamica immigratoria, che negli ultimi anni ha contribuito al rallentamento della decrescita e dell’invecchiamento della popolazione, potrebbe riuscire a riequilibrare in futuro (ISTAT, 2022). ESPANDI
PRINCIPALI EVIDENZE
Un tasso di fertilità tra i più bassi in Europa
Una delle cause principali del blocco demografico, in Italia così come nel resto d’Europa, è il numero decrescente di nascite.
Negli ultimi anni, la tendenza europea è di una continua diminuzione del numero di nuovi nati, come dimostrano i dati del 2020 relativi al tasso di fertilità, che in Italia è tra i più bassi in Europa (figura 1). La difficoltà italiana a fare figli è suggerita anche dall’età media delle donne alla nascita del primo figlio, che in Italia è più alta rispetto alla media dei paesi europei (figura 2).
In generale, dunque, le famiglie italiane necessitano in media di più tempo per portare a compimento una scelta di procreazione che sia supportata da condizioni economiche e lavorative sufficienti.
In Italia il tasso di fecondità delle donne immigrate è storicamente più elevato di quello delle italiane e ciò ha consentito nel tempo una compensazione rispetto alla crescente diminuzione della natalità nel nostro Paese. Tuttavia, negli ultimi anni si registra una decrescita del tasso di fertilità anche delle donne straniere4 Come si evince nel Rapporto annuale 2022 dell’ISTAT (2022) la fecondità delle donne straniere ha intrapreso la via di un lieve ma continua diminuzione allineandosi maggiormente ai dati riferiti a quelle italiane.. Un fenomeno che può essere ricondotto sia alla riduzione del numero delle donne straniere in età fertile presenti in Italia (ISTAT, 2022b), sia al progressivo adattamento della popolazione straniera alla cultura e agli stili di vita, tra cui i comportamenti riproduttivi, oltre alla condivisione delle medesime difficoltà economiche e sociali della popolazione italiana.
La tendenza generale della decrescita della popolazione italiana è dunque destinata a non fermarsi, così come in generale, la crescita demografica europea, che aveva caratterizzato il continente negli ultimi decenni, è destinata a non continuare (Commissione Europea, 2020). Dal 2012, infatti, il numero di decessi nell’UE-27 ha superato il numero di nascite. Ciò significa che, senza una migrazione netta positiva, la popolazione europea avrebbe già iniziato a ridursi.
Un continuo invecchiamento demografico
Come mai prima d’ora nella storia, oggi è possibile vivere a lungo. Anche grazie all’evoluzione della scienza e della medicina e al supporto della tecnologia, in Europa è aumentata l’aspettativa di vita alla nascita. In Italia questo fenomeno è particolarmente visibile: nel nostro Paese, il dato si attesta poco sotto gli 83 anni (in diminuzione a causa del Covid), e risulta più elevato rispetto alla media EU (figura 3). Questo incremento, unito alla diminuzione delle nascite, porta ad un significativo mutamento nel profilo della popolazione che diventa sempre più anziana.
Questo fenomeno è dimostrato anche dai dati relativi alla piramide della popolazione italiana (figura 4) e dall’età mediana della popolazione per genere, che risulta infatti più alta in Italia che nella media dei paesi UE (figura 5).
L’invecchiamento demografico ha anche un importante impatto sul mercato del lavoro.
In Italia, si prevede che la popolazione in età lavorativa (20-64 anni) diminuirà. Le proiezioni economiche fatte nel 2018, hanno stimato che il numero di persone occupate potevano raggiungere il picco intorno al 2020, in seguito al quale si sarebbe verificato un costante declino nei decenni successivi (Commissione Europea, 2021). In un quadro di complessità crescente, saranno necessari adeguati correttivi per tentare di equilibrare domanda e offerta lavorativa.
In generale, la popolazione italiana è destinata a decrescere nei prossimi decenni in misura maggiore rispetto alla popolazione della media dei paesi europei, comunque destinata a diminuire (figura 6).
Un aumento del numero delle famiglie di dimensioni ridotte e una povertà crescente tra famiglie unipersonali e monoparentali
In Italia, più del 30% di tutte le famiglie è costituito da una sola persona, un dato in linea con la media europea, che vede un terzo delle famiglie essere composto da un solo componente (figura 7). Questo dato testimonia un’evoluzione significativa delle società occidentali verso una vita sempre più individuale, che si alimenta culturalmente della spinta all’indipendenza e alla riduzione dei legami, ma anche tende a riprodurre, a livello sociale, isolamento e crescente vulnerabilità.
Le ragioni di questo processo sono molteplici e si legano ad altri due processi: invecchiamento della popolazione e caduta della fertilità. Nel momento in cui la popolazione invecchia, sempre più anziani si trovano a vivere soli e spesso senza il proprio coniuge. L’individualizzazione della famiglia – qui intesa come riduzione del numero di componenti della stessa – viene amplificata anche dal numero sempre più basso di figli, per cui i nuclei famigliari tendono ad essere meno numerosi, così come da separazioni e divorzi.
Con l’avanzare dell’età in Europa, un numero crescente di persone di età pari o superiore a 65 anni vivrà solo, con tutte le conseguenze legate a questo fenomeno, sia rispetto ai crescenti bisogni di accompagnamento e assistenza sociosanitaria che investono la sfera del welfare, sia relativamente ad un isolamento sociale che richiede di ripensare le forme dell’abitare.
Oltre al rischio di isolamento, ad aumentare nei nuclei familiari unipersonali, che sono e saranno sempre più diffusi nel territorio italiano, è anche l’incidenza del rischio di povertà e di esclusione sociale (ISTAT, 2022c). In particolare, tale rischio è maggiore tra le persone che vivono sole e tra le famiglie con un solo genitore (figura 8).
Nel nostro Paese, il panorama familiare vede anche un più difficile passaggio all’autonomia da parte dei giovani, con una loro uscita dalla famiglia ritardata rispetto ai loro coetanei europei. Nel quadro EU-27, l’Italia è uno dei paesi con la quota maggiore di giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono con i genitori (figura 9). In Italia, oltre agli aspetti culturali, tra le principali cause di questo fenomeno vanno considerate problematiche di natura economica. I giovani italiani si confrontano con la difficoltà di trovare una stabilità professionale e con la conseguente impossibilità di sostenere le spese di affitto, acquisto e mantenimento di una casa (ISTAT, 2022d). Questa difficile transizione verso lo stato adulto risulta maggiore tra i maschi e, a livello geografico, nell’Italia meridionale, soprattutto per via delle ancor più critiche condizioni del mercato del lavoro giovanile, nonostante una progressiva convergenza tra Nord e Sud rispetto al tema in questione negli ultimi anni (figura 10).
La povertà come fenomeno persistente e trasversale
In Italia la povertà è ancora oggi un fenomeno esteso e trasversale.
L’Italia è tra i paesi europei che presentano le percentuali più elevate di famiglie a rischio di povertà o esclusione sociale, raggiungendo il 20,1% contro il 16,8% della media EU (figura 11 e figura 12). Il fenomeno, nonostante un lieve miglioramento della situazione nel 2021, si è accentuato nel 2020 in corrispondenza della pandemia, costituendo un quadro su cui prestare attenzione; infatti, nel 2021 sono quasi 2 milioni le famiglie e circa 5,6 milioni di individui in condizione di povertà assoluta (ISTAT, 2022), dati che rappresentano il 7,5% delle famiglie e il 9,4% di individui.
Un elemento interessante è l’incidenza della povertà assoluta familiare, che illumina il rapporto tra il numero delle famiglie con spesa media mensile pari o inferiore alla soglia di povertà con il numero delle famiglie residenti. Nel 2021, la povertà assoluta a livello familiare si attesta al 7.5%, in lieve diminuzione rispetto al 2020 (7.7%) (Rapporto Annuale ISTAT 2022).
Relativamente alla sua distribuzione geografica, la povertà risulta essere maggiormente incidente nel Sud Italia, dove la percentuale di famiglie in povertà assoluta è pari al 10% (figura 13).
Altro aspetto da segnalare è il fatto che nel nostro Paese, nel 2021, la povertà assoluta ha colpito in modo più acuto i giovani e, in particolare, i minori di 18 anni (14,2%) a fronte di una minore incidenza con il crescere dell’età. La fascia over 65 anni vede infatti una percentuale di individui in povertà assoluta ben più contenuta, pari a 5,3% (figura 14).
In aumento è però anche la povertà relativa, la cui incidenza nei nuclei familiari è ancora una volta molto più elevata nell’Italia Meridionale. Se a livello nazionale il dato tocca l’11,1%, nel Mezzogiorno quasi raddoppia, raggiungendo il 20,8%, mentre nel Nord-Ovest si attesta al 6,4% (figura 15).
Nel complesso si declina un quadro preoccupante, considerato che la povertà rappresenta un pesante fattore di blocco nello sviluppo delle persone e delle società.
Una complicata conciliazione tra vita lavorativa e vita famigliare
Tra le principali sfide della società contemporanea vi è senza dubbio la conciliazione tra lavoro e famiglia. L’UE si impegna da tempo a lavorare sull’equilibrio e il bilanciamento di queste due dimensioni della vita umana (“work-life balance”). Nello specifico l’Unione mira al supporto di un bilanciamento di tale equilibrio a favore di genitori e caregiver, all’incoraggiamento di una maggiore ed equa condivisione delle responsabilità genitoriali e di cura tra donne e uomini, e infine alla promozione dell’occupazione femminile per ovviare alla sottorappresentanza delle donne nel mercato del lavoro (Parlamento Europeo, 2019).
Nell’UE più di un terzo della popolazione tra 18 e 64 anni ha responsabilità di cura verso bambini (la maggior parte) o verso altri famigliari non autosufficienti; in particolare la maggior parte degli adulti caregiver si configurano in coppie con figli, tra i 35 e i 44 anni e con un’occupazione professionale. La maggioranza degli adulti con responsabilità di cura sono donne (Eurostat, 2018). La predominanza femminile nelle attività famigliari viene anche dimostrata dai beneficiari del congedo parentale. In Italia nel 2019 il 79% dei beneficiari di tali congedi erano donne (figura 16). Inoltre, la durata dei congedi beneficiati è molto maggiore per le donne rispetto che per gli uomini5 Dai dati INPS relativi al congedo familiare, che si possono ritrovare sul sito https://www.inps.it/osservatoristatistici/13 (INPS, 2021).
Nel confronto rispetto agli altri paesi europei, l’Italia performa sotto la media, risultando tra i paesi in fondo alla classifica, rispetto alla durata del congedo parentale (figura 17) e di paternità (OCPI, 2021).
Nella UE nel 2018 la percentuale di donne che hanno ridotto le proprie ore di lavoro per la cura dei figli è dell’82%: in Italia il dato è in linea con la media europea (figura 18).
In Europa un lavoratore su quattro nel 2018 ha interrotto la propria attività lavorativa per prendersi cura dei figli. In Italia, la percentuale di chi ha interrotto il proprio lavoro è inferiore alla media europea, ma è inferiore anche la percentuale di chi non ha interrotto l’attività professionale. Infatti, in Italia sono più alte le percentuali di persone (tra i 18 e i 64 anni) che non hanno mai lavorato per dedicarsi alla cura dei figli e di chi non ha mai avuto figli (figura 19).
Un tema significativo nel contesto della conciliazione lavoro-famiglia è quello del part-time involontario, che rappresenta un fenomeno tipico nel contesto italiano, soprattutto per il lavoro femminile. Come segnalato nel Rapporto BES (ISTAT, 2021), la percentuale di persone in part-time involontario in Italia continua ad essere maggiore per le donne rispetto agli uomini; nello stesso documento emerge la difficoltà dell’equilibrio tra vita lavorativa e vita famigliare in particolare nel rapporto tra donne occupate con figli e donne occupate senza figli: le donne con almeno un figlio che lavorano sono in numero inferiore rispetto a quello di coloro che non hanno figli. Un ulteriore aspetto da rilevare è che la quota di donne con figli disoccupate aumenta nel Sud Italia e tra le donne con un titolo di studio inferiore (figura 20 e figura 21). Infine, nel contesto italiano si evidenzia uno squilibrio nella condivisione delle responsabilità famigliari tra uomini e donne partner di coppia con figli: l’indice di asimmetria mostra come siano le donne a occuparsi in maggioranza della cura domestica e ciò avviene in misura ancora maggiore nell’Italia meridionale (figura 22).
Una distribuzione territoriale della popolazione caratterizzata dallo spopolamento delle aree interne
Il territorio italiano è caratterizzato da una distribuzione della popolazione che si concentra nelle città, con una mobilità che vede un tendenziale abbandono delle aree periferiche, sempre più a rischio spopolamento, a favore dei centri urbani. Il fenomeno riguarda in particolare le aree interne, quei territori considerati distanti dai servizi essenziali (Dipartimento per le politiche di coesione, 2022)6 I comuni italiani che vedono la presenza nei propri territori dei servizi ritenuti essenziali (scuole, ospedale, stazione ferroviaria) sono definiti “polo”: la distanza dai comuni polo determina la classificazione dei comuni delle aree interne tra intermedio, periferico e ultraperiferico. I comuni in prossimità dei comuni polo, nelle aree peri-urbane, sono denominati comuni “cintura”. . Quasi la metà dei comuni italiani si trova nelle “aree interne”, mentre i comuni più numerosi del Paese sono quelli “cintura” (quasi 4 mila). La densità abitativa risulta molto inferiore nei comuni appartenenti alle aree interne rispetto ai comuni “polo” (soprattutto). Solo poco più del 20% della popolazione italiana risiede nelle aree interne (figura 23).
Le previsioni demografiche dei prossimi anni relativamente alla distribuzione della popolazione sul territorio mostrano una probabile ulteriore diminuzione di abitanti nelle aree interne (ISTAT, 2021a): in un contesto di generale decrescita demografica, entro il 2030 le variazioni percentuali negative della popolazione risultano essere circa il doppio nelle aree interne rispetto a quelle dei comuni polo e cintura (figura 24).
La mobilità interna ha sempre caratterizzato il territorio italiano, con spostamenti tra le regioni del Paese soprattutto per ragioni lavorative (ISTAT, 2020). Al netto dell’anomalia rappresentata dall’anno 2020, per via degli spostamenti legati alla pandemia e alle misure restrittive della circolazione, i territori appartenenti alle aree interne risultano essere quelli tendenzialmente più abbandonati e quindi con una maggiore forza repulsiva, a favore dei comuni polo che si caratterizzano per la capacità attrattiva legata ai servizi offerti (ISTAT, 2021a)
Il contributo delle migrazioni, il vuoto lasciato dalle emigrazioni
La migrazione è un fenomeno composito che produce importanti effetti sulla demografia di un paese. In Italia, il calo della popolazione in età lavorativa è stato in parte compensato negli ultimi anni dalla popolazione immigrata, che ha agevolato la copertura di quella crescente domanda di lavoro condizionata da un sistema di welfare che si è evoluto conseguentemente all’invecchiamento demografico (G. Gesano e S. Strozza, 2019)
L’evoluzione demografica, dunque, è determinata dalla relazione tra fecondità e immigrazione, dove la seconda può fare da contrappeso alla caduta della prima. Tuttavia, nei prossimi anni, si attende un crollo demografico inevitabile, nonostante l’eventuale presenza di un’immigrazione sostanziosa (figura 25).
Infatti, neppure flussi importanti e costanti in arrivo per alcuni decenni, combinati ad una crescita del tasso di fecondità interno potrebbero contrastare il previsto calo dimensionale della popolazione attiva (Istituto Toniolo, 2021).
Il saldo migratorio, che contribuisce a disegnare il dinamismo del territorio e ad influenzare l’evoluzione demografica, è inoltre determinato dall’emigrazione. Dal 2010 al 2019, i saldi migratori con l’estero dei cittadini italiani sono stati in media negativi (figura 26).
Prima della pandemia, l’emigrazione ha riguardato cittadini in maggioranza maschi, con un’età media di poco superiore ai 30 anni, di cui circa uno su quattro aventi come titolo di studio minimo la laurea7 L’ISTAT nel report iscrizioni e cancellazioni anagrafiche (2022b), in riferimento al 2020-2021, segnala che rispetto all’anno precedente il numero dei laureati emigrati è in leggero aumento (+5,4%). Rispetto a cinque anni prima gli emigrati con almeno la laurea crescono del 17%. . Gli emigrati italiani nel 2019 erano per lo più provenienti dal Nord Italia. Ma non solo: le regioni che registrano il maggior numero di partenze in valore assoluto sono Lombardia, Sicilia, Veneto, Campania e Lazio. In termini relativi rispetto al numero di abitanti della regione, invece, è il Trentino-Alto Adige la regione con il maggior tasso di emigratorietà8 Il tasso di emigratorietà rappresenta il rapporto tra gli emigrati nel corso di un anno e l’ammontare medio nell’anno della popolazione residente. (figura 27). Le destinazioni principali di coloro che sono emigrati dall’Italia dal 2019 ad oggi sono il Regno Unito e la Germania (ISTAT,2022b) (figura 28). È interessante notare anche quali sono le percentuali di emigrati all’estero con un titolo di studio elevato da un lato (figura 29) e con un titolo di studio basso dall’altro (figura 30): i primi risultano inferiori rispetto ai secondi, che si concentrano soprattutto in Valle d’Aosta, Emilia-Romagna, Marche e Sicilia. Le percentuali relative agli emigrati con titoli di studio elevati invece sono piuttosto omogenee tra Nord e Centro Italia, con la Provincia di Trento e l’Umbria che presentano il dato maggiore.
Se il saldo migratorio costituisce un indicatore fondamentale della situazione economica e sociale di un paese, il fenomeno della migrazione non può dunque non essere considerato nella ricerca di una sostenibilità sociale ed economica di una popolazione destinata a decrescere e invecchiare.
Alla ricerca di una sostenibilità economica, nell’equilibrio tra generazioni
Per la ricomposizione di un nuovo equilibrio tra le generazioni è determinante il modo in cui si decidono le linee di politica economica. È innegabile, infatti, che l’invecchiamento sempre maggiore della popolazione e la preponderanza della fascia più anziana di cittadini richiedano un intervento pubblico consistente anche dal punto di vista economico su tale porzione della popolazione (la cosiddetta “silver economy”).
Tuttavia, il rischio è quello di assumere una prospettiva limitata, focalizzata su una parte della popolazione e incurante della dimensione intergenerazionale. Questo potrebbe generare una dinamica economicamente non sostenibile, specialmente per le generazioni future.
Secondo le proiezioni Eurostat, l’Italia vedrà nel futuro un tasso di dipendenza degli anziani rispetto alla popolazione più giovane più alto in rapporto alla media EU.
La percentuale di popolazione di età superiore ai 65 anni supererà quota 60 nei prossimi decenni (figura 31) e nel nostro Paese ci saranno sempre più persone fuori dall’età lavorativa e sempre meno in età lavorativa, con conseguenze importanti sul mercato del lavoro.
POLICY
Il sistema Francese di politiche famigliari a sostegno della natalità
Il sostegno alla natalità e la promozione degli equilibri intergenerazionali sono probabilmente un ambito paradigmatico nel quale si possono esprimere i caratteri generativi di una policy in termini di riconoscimento del desiderio, dei rischi e dei bisogni delle persone, di abilitazione della fiducia di base nella vita e nelle sue opportunità, di costruzione di relazioni di continuità nel tempo e tra le generazioni, di sviluppo di narrazioni vitali e favorevoli allo sviluppo di senso e prospettive di valore per le persone. In questo senso “autorizzazione”, “intertemporalità”, “esemplarità”, oltre ad essere gli assi portanti dell’agire generativo, sono anche possibili coordinate di riferimento per leggere l’efficacia generativa di una policy che intenda agire sulla crisi demografica e promuovere gli equilibri tra le generazioni.
Come in tutti i campi del policy making, anche in quello demografico ed intergenerazionale non è sufficiente il dispositivo normativo per conseguire risultati, ma occorre agire su un equilibrio multidimensionale, “metastabile” e contestuale tra cultura, norme, risorse, servizi e governance che generi anzitutto fiducia nel futuro e nelle istituzioni. In questo senso una policy efficace non esiste definitivamente, ma possono sussistere sistemi di policy che riescono meglio di altri a sviluppare un equilibrio generativo tra le diverse componenti.
In questo senso a livello europeo appare oggi significativo e potenzialmente esemplare il sistema francese di politiche famigliari a sostegno della natalità.
Breve Descrizione della Policy
In Francia il 2,68% del PIL è dedicato ad un sistema composito di politiche orientate al sostegno della famiglia e della natalità (Oecd, 2022), costruito nel tempo con l’obiettivo principale di contrastare il declino demografico e favorire l’integrazione e la natalità anche tra le famiglie migranti ed economicamente più deboli.
Il sistema francese, a differenza di altri regimi di welfare che puntano maggiormente su alcuni dispositivi (ad esempio i servizi gratuiti alle famiglie nei sistemi di welfare scandinavo o i trasferimenti monetari diretti e indiretti alla famiglia in alcuni sistemi mediterranei) integra in modo coordinato diversi dispositivi, che agiscono su diversi fronti; in particolare, il sostegno alla natalità e alla famiglia viene concretizzato facendo interagire in modo coordinato, sia a livello di programmazione nazionale che di delivery locale:
- la leva fiscale, che determina i redditi del nucleo famigliare applicando in modo diffuso il quoziente famigliare e defiscalizza la quasi totalità delle spese sostenute per la cura dei minori;
- i trasferimenti monetari, in forma diretta, mediante assegni universalistici per la maternità e i minori a carico, forme di integrazione al reddito per le famiglie numerose, potenziamento del sistema del reddito minimo per le famiglie meno abbienti con minori a carico;
- la disponibilità di servizi accessibili, come asili nido, scuole per l’infanzia, servizi di conciliazione e mediazione gratuiti e facilmente accessibili;
- l’accompagnamento e l’orientamento alla maternità e paternità responsabili e alla gestione della prole mediante un sistema consultoriale pubblico e una rete privata convenzionata diffusi in tutto il territorio;
- gli istituti di congedo parentale, sia in forma obbligatoria che facoltativa, con l’obiettivo esplicito e socialmente condiviso di liberare tempo di cura per i genitori;
- le misure di conciliazione tra vita e lavoro, che vengono promosse in modo diffuso anche all’interno del sistema delle imprese;
- la cittadinanza francese concessa ai minori nati sul territorio francese da almeno un genitore a sua volta nato in Francia.
Non si tratta di misure uniche ed originali, ma la Francia ha dimostrato negli ultimi vent’anni di saper fare un uso strategico ed integrato di tali dispositivi raggiungendo risultati rilevanti dal punto di vista demografico (OECDa, 2022).
Il sistema francese è storicamente orientato a riconoscere il ruolo e la funzione delle famiglie quale elemento fondamentale della società e per il suo sviluppo, in un’ottica di sussidiarietà verticale (J. C. Barbier et al., 2022).
Dal punto di vista dell’inclusività, oltre a considerare in modo plurale ed aperto il concetto di famiglia e ad ammettere legalmente l’omogenitorialità, non sussistono formali disparità di trattamento nell’accesso ai servizi tra famiglie autoctone ed immigrate e il meccanismo del quoziente famigliare e delle allocazioni per famiglie in difficoltà sono orientati a rendere inclusivo il sistema e possibile la genitorialità anche per le famiglie meno abbienti. (L. Toulemon, 2004)
Il sistema è quindi orientato in senso promozionale rispetto alla natalità, cercando di sostenerne la possibilità a prescindere dalle condizioni economiche del nucleo famigliare, e risulta effettivamente in grado di accompagnare la maggior parte delle famiglie nel tempo e nelle diverse fasi del ciclo di vita con una modularità di servizi accessibili e trasferimenti monetari.
Le recenti riforme introdotte in Italia con il cosiddetto “Family Act”, per quanto non rappresentino da un punto di vista quantitativo un sostegno integrato paragonabile a quello francese (L. Panico et al. 2021), non considerino adeguatamente il tema dell’inclusione dei migranti e siano ancora in larga parte da implementare, sembrano andare nella direzione di una integrazione strategica delle diverse e sinora piuttosto variabili forme di sostegno alla famiglia e alla natalità esistenti in Italia (C. Solera 2022), allo scopo di costruire un sistema più stabile nel tempo e programmaticamente orientato a contrastare il declino demografico
RISORSE
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