in questo capitolo:
INTRODUZIONE
Senza innovazione non c’è futuro
Negli ultimi decenni, la crescita in produttività e competitività dell’Europa è stata guidata dall’innovazione (Commissione europea, 2020). Ricerca e innovazione rinforzano la resilienza dei settori produttivi ma anche supportano quelle trasformazioni economiche, sociali, digitali ed ecologiche oggi necessarie al superamento di un modello di sviluppo che si è ormai dimostrato ampiamente insostenibile. Alla luce del susseguirsi di drammatici shock finanziari, economici, energetici e sanitari e dell’emergere di nuovi problemi segnati da sconosciuti livelli di complessità, è vitale mantenere alta la capacità di innovazione per far fronte positivamente alle grandi transizioni in atto. ESPANDI
PRINCIPALI EVIDENZE
Un’offerta universitaria poco attrattiva per gli stranieri
Il dottorato di ricerca costituisce la qualifica formativa terziaria oggi più elevata. In un sistema socioeconomico, la numerosità dei dottori di ricerca è un indicatore della ricchezza delle competenze evolute disponibili (S. Micelli, 2016)3 In Italia la percentuale di dottori di ricerca sulla popolazione attiva resta molto basso. Secondo l’OCSE (OECD 2019), nel 2019 era pari allo 0,5% della popolazione adulta (media OCSE 1,2%). . Molti Paesi stanno investendo in modo crescente per attrarre strategicamente studenti e ricercatori stranieri, in quanto la circolazione di saperi, esperienze e intelligenze favorisce la contaminazione e l’accelerazione della conoscenza e dell’innovazione.
A questo riguardo, i dati raccolti rimandano un quadro di sostanziale staticità: nel complesso, l’offerta universitaria italiana risulta all’estero poco attrattiva, come sembrano indicare sia la bassa incidenza di studenti stranieri nei percorsi di dottorato (M. C. Carozza, 2021)4 Va segnalato che l’idea di dottorato di ricerca è andata evolvendosi anche al di fuori dei percorsi legati alla carriera accademica. Sempre più frequentemente esso va delineandosi come alta formazione finalizzata, attraverso la ricerca, all’acquisizione di competenze qualificate proiettate al mondo del lavoro. Ciò porterebbe ad ampliare le opportunità di attivazione di percorsi di dottorato ad altri soggetti, come gli Enti Pubblici di Ricerca, o attraverso formule di convenzione tra ERP e università. rispetto alla crescente media UE (figura 1), sia i posizionamenti poco brillanti dell’accademia italiana nel ranking mondiale delle migliori università5 Parallelamente continua l’emigrazione verso l’estero di giovani risorse qualificate. Il tema è già stato introdotto nel cap. 1 del rapporto..
Se il numero delle co-pubblicazioni italiane su riviste scientifiche internazionali si posiziona ancora al di sotto della media europea (figura 2), da alcuni anni il trend appare però in miglioramento e sembra indicare più recentemente una riduzione della distanza con i livelli medi EU (figura 2, figura 3).
Un Paese in sensibile recupero nella Transizione Digitale, ma molto resta da fare sul fronte della promozione del “capitale umano” e delle digital skills.
Negli ultimi cinque anni, il Paese ha accelerato il passo sul fronte della digitalizzazione, anche grazie alla creazione di un ministero ad hoc per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale e l’adozione di strategie e misure chiave (Commissione europea 2022). Il 2022 vede l’Italia al diciottesimo posto nel ranking Digital Economy and Society Index, con un miglioramento di due posizioni sul 2021 (figura 4). I rapporti DESI indagano i progressi compiuti dai Paesi EU nel digitale rispetto quattro diverse aree: capitale umano, connettività, integrazione delle tecnologie digitali e servizi pubblici digitali.
L’Italia raggiunge posizionamenti significativi soprattutto nelle aree “Connettività” e “Integrazione delle tecnologie digitale”. Il miglioramento nella categoria “connettività” viene ricondotta al recente ampliamento della copertura 5G che è balzata dall’8% al 99,7% delle aree abitate6 Il DESI collega tale incremento agli obblighi di copertura e utilizzo dello spettro legati ai diritti d’uso delle bande pioniere 5G concessi nel 2018. L’indicatore di copertura 5G si riferisce alla percentuale di aree popolate coperte da almeno un operatore.. Si tratta di una premessa fondamentale per lo sviluppo delle attività di impresa, per nuove modalità di lavoro (smart-working), senza contare la didattica a distanza. Circa l’integrazione delle tecnologie digitali, essa va rimandata allo sviluppo delle PMI italiane le quali presentano un tasso di base di intensità digitale al di sopra della media UE (60% ITA contro 55% UE). Sul fronte delle imprese, l’Italia ha visto sensibili progressi, grazie al diffuso utilizzo della fatturazione elettronica7 Come segnalato ancora nel country report per l’Italia del DESI (2022), soprattutto per effetto degli obblighi di legge, il 95 per cento delle imprese italiane ha usato questo strumento, la quota maggiore tra tutti i paesi europei, secondo i dati offerti da Banda d’Italia 2021., all’aumento del ricorso a tecnologie cloud, e alla crescente quota di piccole e medie imprese che hanno adottato almeno un terzo delle tecnologie digitali incluse nel calcolo dell’indice. Il country report del DESI segnala che permangono aree di arretratezza legate soprattutto allo scarso sfruttamento dei big data e dell’intelligenza artificiale, e al modesto utilizzo del commercio elettronico.
Più arretrata appare, invece, la performance che riguarda la digitalizzazione dei servizi pubblici, nonostante i sensibili passi in avanti compiuti nel periodo tra il 2017 e il 20228 Rispetto alla digitalizzazione dei servizi pubblici, il DESI 2022 vede il nostro Paese solo al 19° posto, nonostante l’importante evoluzione avvenuta tra il 2017 e il 2022. Solo il 40% degli utenti italiani si avvale di servizi pubblici digitali, contro una media EU del 65%. .
Non va dimenticato che una transizione digitale di successo vede le sue salienze non solo nelle infrastrutture, la trasformazione digitale dell’economia e dei servizi pubblici, ma anche nella promozione del capitale umano ed in particolare delle sue digital skills. A questo riguardo, le performance italiane appaiono più deludenti: rispetto al capitolo “capitale umano”, il DESI 2022 (Commissione europea 2022a), colloca l’Italia solo al 25esimo posto sui 27 Paesi UE, con una distanza dalla media europea di 20 punti percentuali in meno (figura 5).
Inoltre, l’indice DESI evidenzia che il 46% degli italiani possiede competenze digitali di base. Tale ritardo costituisce un grave ostacolo all’inserimento di successo delle persone in un mercato del lavoro sempre più evoluto dal punto di vista digitale. Ma in questione vi è anche l’integrazione sociale, poiché le nuove tecnologie stanno plasmando anche la vita privata e il tempo libero, i servizi pubblici, l’informazione e la cultura. Il gap è meno acuto in relazione ad individui con competenze digitali superiori (23% Ita contro 26% UE) (figura 6).
L’Italia, “innovatrice moderata” ma in progressione
L’European Innovation Scoreboard (EIS) (Commissione europea 2022b) offre una visione comparativa delle performance dei Paesi UE e di alcuni Paesi terzi selezionati nel campo della ricerca e innovazione, e ne segnala punti di forza e debolezza. I Paesi oggetto dell’indagine vengono suddivisi in quattro diversi gruppi sulla base dei risultati ottenuti: i leader dell’innovazione, i forti innovatori, gli innovatori moderati e gli innovatori emergenti.
Tra il 2015 e il 2022 si registra in quasi tutta l’area EU27 un miglioramento delle prestazioni nel campo dell’innovazione, con una riduzione del divario tra i più forti innovatori e il gruppo degli innovatori moderati, mentre i Paesi con i risultati più bassi vedono invece ampliare il loro ritardo.9 L’European Innovation Scoreboard 2022 (EIS) registra un aumento dei risultati dell’innovazione dell’UE di circa il 10% dal 2015.
È in questo scenario che va inquadrata la posizione dell’Italia: il nostro Paese si riconferma un “innovatore moderato”, tuttavia, le sue performance stanno aumentando ad un ritmo più elevato rispetto alla media europea, in questo modo riducendo il gap esistente. In sintesi, l’Italia si colloca alla testa dei Paesi moderati, avvicinandosi al gruppo dei forti innovatori10 L’Italia si riconferma nel gruppo degli Innovatori moderati con una performance pari a 91,6. La sua performance, però, non solo è superiore alla media del gruppo (89,7%) ma anche sta migliorando ad un passo più alto di quella della media EU (17,4% punti contro il 9,9% dell’EU)., anche se l’EIS 2022 evidenzia, dopo un periodo di crescita, una lieve diminuzione delle performance italiane nel campo dell’innovazione (Ibidem).
Le aree che dal 2015 nel nostro Paese hanno visto un maggiore sviluppo sono il sostegno governativo alla R&S delle imprese; le co-pubblicazioni pubblico-private; la collaborazione delle PMI innovative con altre.
Un significativo decremento dal 2015 viene invece registrato nelle aree Tecnologie ambientali, Dottorati, ed Esportazioni di beni a media e alta tecnologia (Ibidem)..
Gli investimenti in ricerca e innovazione restano ancora sotto la media europea, nel quadro di una disomogeneità territoriale di difficile ricomposizione
Le attività di ricerca aprono la via alla nascita di nuovi settori produttivi o all’ulteriore sviluppo di ambiti già esplorati. In questo senso, la ricerca non solo è premessa all’innovazione, ma fondamentale leva moltiplicatrice degli investimenti e generatrice di nuova impresa e di lavoro.
Il nostro Paese non si è mai distinto per essere un investitore importante nella ricerca pubblica e privata, anche in ragione della mancanza, in Italia, di grandi imprese in grado di sostenere gli ingenti oneri della ricerca. Ugualmente, la storia della ricerca italiana ha visto tradizionalmente poca integrazione tra settore pubblico e privato (CNR, 2021). Rispetto alle principali economie nord-europee, l’Italia si presenta alla crisi del 2008 come un Paese dall’architettura debole dal punto di vista dell’innovazione, con scarsi investimenti nel settore e nello sviluppo del capitale umano (Ramella e Pessina, 2022).11 Il nostro Paese, nella partita internazionale, avrebbe scommesso sulla “via bassa alla competitività”, giocando la carta della riduzione dei costi e della precarizzazione del mercato del lavoro, con investimenti scarsi nei campi dell’innovazione e della crescita delle risorse umane. Una opzione che ha reso l’Italia più esposta alla crisi. Nel 2014, il nostro PIL era di 8 punti percentuali a quello dl 2008, a differenza di Germania e Francia che rispettivamente erano cresciute del 5% e del 3%. Ancora oggi l’analisi degli investimenti italiani nel campo dell’innovazione illumina una situazione lontana dall’impegno europeo nel settore R&D.
L’effort del settore pubblico italiano resta al di sotto della media europea: secondo i dati Eurostat contenuti nell’European Innovation Scoreboard 2020 (Commissione europea 2020a), l’Italia investe in R&D lo 0,57% del PIL contro lo 0,78 dell’EU, con un andamento sostanzialmente uniforme dagli anni 2000 (figura 7 e figura 8). Considerevole è la disomogeneità territoriale della spesa nel settore pubblico, con investimenti più bassi nelle regioni Lombardia, Veneto, Alto Adige, Valle D’Aosta e Molise (figura 9).
Più elevata risulta la spesa privata in R&D, pari allo 0,9 contro l’1,5 dell’EU (Ibidem). L’andamento dell’impegno delle imprese sul fronte ricerca e sviluppo conferma un trend evolutivo dal 2000, sebbene permanga la distanza con una medesima crescita a livello europeo (figura 10 e figura 11).
Relativamente a questo ambito, a livello regionale si distinguono le performance di Piemonte e Emilia-Romagna, seguite da Lombardia, Veneto e Toscana, aree a cui corrispondono i maggiori insediamenti produttivi industriali (figura 12). Più arretrate appaiono invece Sardegna, Basilicata e Calabria, anticipati di poco da Sicilia e Puglia, Umbria e Alto Adige.
La presenza di sensibili divari territoriali costituisce un fattore di ulteriore complessità del quadro italiano (Commissione Europea, 2021)12 La frammentazione risulta ampiamente confermata anche dal Regional Innovation Scoreboard 2021 (Commissione europea, 2021).. Nel 2021, solo sette regioni rientrano nel gruppo dei forti innovatori. Le posizioni più fragili riguardano Valle D’Aosta e Calabria (emerging), ma in generale tutto il Sud e le Isole si collocano nel gruppo degli innovatori moderati, insieme alla Liguria.
Non solo R&D
l quadro dell’innovazione si completa nel momento in cui il campo di osservazione si estende oltre il tradizionale ambito Ricerca & Sviluppo.13 Se nel linguaggio economico i termini sono spesso tenuti congiunti, ci si riferisce a due attività tra loro diverse: la ricerca di base si muove per conoscere e/o approfondire la conoscenza di un’area scientifica; la ricerca applicata approfondisce allo scopo di soddisfare un particolare bisogno. Nell’impresa la ricerca è finalizzata ad obiettivi di mercato. Sotto il termine “sviluppo” si raccolgono quelle azioni che permettono di applicarla conoscenza alla realizzazione di nuovi materiali, processi, prodotti. Nelle aziende, l’area R&D costituisce la principale fonte di innovazione. I dati della spesa privata in innovazione non legata all’R&D vedono l’Italia superare seppur leggermente la media europea e sebbene il nostro Paese resti ancora lontano dai livelli della Germania, l’andamento nel 2020 appare in sensibile crescita (figura 13 e figura 14).
L’idea che l’Italia giochi la partita dell’innovazione su un terreno più ampio – rappresentazione consolidata, sebbene non sempre condivisa, che vede il nostro Paese distinguersi per un’innovazione meno legata alla classica R&D – sembra essere confermata anche dai dati raccolti sui comportamenti delle piccole e medie imprese. A questo riguardo, l’Italia si posiziona ben al di sopra della media europea. Sia relativamente all’innovazione di prodotto che di processo, il nostro Paese vede infatti un trend positivo a partire dal 2018 (figura 15 e figura 16).
È l’innovazione di processo ad attestare la performance più significativa, con un forte balzo in avanti nel 2020. Come segnalato nel Rapporto annuale dell’ISTAT (2022), tale sviluppo è probabilmente da ricondurre alle trasformazioni organizzative e produttive legate alla pandemia che hanno provocato una accelerazione e diffusione sia del lavoro a distanza (lavoro agile, smart working, etc.), sia del commercio elettronico e della digitalizzazione dei processi aziendali, inclusa l’automazione (tecnologie 4.0).14 Secondo l’ISTAT, se nel gennaio 2020 in media risultava lavorare da remoto il 3,7% del personale delle imprese con almeno 3 addetti, mentre nel bimestre marzo-aprile 2020 particolarmente segnato da limitazioni, la percentuale ha raggiunto il 19,8%. A fine 2021, in una situazione di maggiore tranquillità dal punto di vista dello sviluppo della pandemia, il lavoro a distanza presentava una diffusione più che doppia rispetto agli inizi del 2020, indicando la possibilità dell’avvio di mutamenti strutturali
Altro ambito in cui l’Italia ottiene i migliori risultati è quello della sostenibilità, settore economico ad elevato contenuto di innovazione sia di prodotto che di processo. Anche l’European Innovation Scoreboard 2022 riconferma sostanzialmente la buona posizione a livello europeo acquisita dal nostro Paese nel settore della sostenibilità ambientale.15 Per un approfondimento sui temi ambientali ed in particolare sull’economia circolare si veda il cap. 7.
Un’occupazione knowledge intensive ben posizionata e paritaria
In Italia, il profilo dell’occupazione knowledge intensive risulta circa pari a quello europeo (figura 17). I dati dipingono una situazione connotata da interessanti dinamismi che vedono, da un lato, la presenza di imprese in grado di offrire lavori ad elevata qualificazione, e, dall’altro imprese a contenuto innovativo che si spingono in esplorazione di nuovi settori e futuri mercati.
In questo settore, le donne italiane risultano ben rappresentate, con una percentuale perfino superiore sia agli occupati maschi italiani, sia agli occupati donne europee (figura 18). Si tratta di un indicatore interessante, considerata la qualità di questa tipologia di lavoro e la sua potenziale remunerazione, sia in termini economici che di riconoscimento sociale, nel quadro di un mercato del lavoro ancora segnato da un significativo divario di genere a livello retributivo (ISTAT, 2021).
La parabola discendente dell’innovazione italiana
In merito all’export di prodotti di media-alta tecnologia e servizi knowledge-intensive, i dati relativi al sistema produttivo italiano non sono positivi. Il nostro Paese non solo si posiziona decisamente al di sotto della media europea sia per prodotti che per servizi (figura 19 e figura 20), ma anche non si segnalano particolari evoluzioni negli ultimi anni, fatto salvo per un lieve miglioramento nel 2020 sul fronte dei servizi (figura 21 e figura 22).
L’incrocio di questi dati con i precedenti sembra segnalare una parabola discendente nella filiera dell’innovazione italiana: è possibile innovare, ma non riuscire ad allestire le filiere più adeguate per finalizzare con successo il processo di innovazione con un corretto posizionamento sul mercato globale dei risultati degli sforzi creativi e innovativi.
In mezzo al guado. L’Italia nelle transizioni
L’attuale fase storica può essere descritta in termini di passaggio da un modello socioeconomico che ha mostrato in modo manifesto la sua insostenibilità ad un nuovo assetto più evoluto, maggiormente rispondente ai criteri di equità e sostenibilità.
Un utile strumento per comprendere il percorso di trasformazione in atto nei diversi Paesi è il Transition Performance Index (TPI) (Commissione europea 2021a). L’indice si preoccupa di monitorare e valutare il progresso di 72 Paesi verso un modello di sviluppo equo e sostenibile e prende in considerazione quattro grandi transizioni: economica, sociale, ambientale e di governance.
Nel panorama offerto dal TPI 2021 (dati 2020), l’Italia si posiziona al 16esimo posto nel ranking internazionale e al 13esima a livello europeo, con un miglioramento lieve ma costante dal 2011 (allora 21esima). Nel complesso l’Italia si inserisce tra i Paesi in forte transizione (figura 23).
Le performance migliori sono conseguite dall’Italia nell’ambito della transizione ambientale (114%), mentre maggiori ritardi rispetto alla media EU si riscontrano nelle altre transizioni considerate: economica (93%), sociale (91%) e di governance (l’89%) (figura 24).
Il nostro Paese si distingue nel campo dell’economia sostenibile e della biodiversità, nel recupero nel settore della digitalizzazione, nella sua base industriale, rispetto alla salute e alle aspettative di vita alla nascita, nel campo della sicurezza (tassi di omicidi).
I maggiori nodi riguardano la bassa produttività del lavoro e dell’intensità dell’R&D; il livello del debito pubblico; il tasso di occupazione della popolazione attiva (20-64); il permanere di diseguaglianze economiche e di genere; l’uso di pesticidi per area.
Nel quadro del TPI, ciò che emerge è l’immagine di un Paese apparentemente a metà del guado: troppo avanti per tornare indietro, con una spinta particolarmente significativa nella transizione ecologica, eppure ancora appesantito da vincoli che ne frenano le possibilità di sviluppo verso nuovi e più evoluti assetti.
POLICY
Dutch Digitisation Strategy 2.0 – La strategia digitale e l’uso dei big data del Governo olandese
Lo sviluppo di una strategia di digitalizzazione strutturale e intersettoriale è una delle urgenze che emergono nel contesto europeo, visto l’impatto di questa nella società a livello non solo economico ma anche nelle relazioni sociali fino ad arrivare alla partecipazione politica.
La Commissione europea a partire dal 2014 ha implementato una serie di azioni che hanno costituito le fondamenta per la Comunicazione del 2020 “Dare forma al futuro digitale dell’Europa” che adotta una visione multisettoriale sul tema ponendo obiettivi non solo nel rafforzare le competenze digitali dei cittadini europei, ma che vadano nella direzione di costruire un framework per un utilizzo etico dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro e la regolazione per la condivisione e la sicurezza nella data economy. A livello nazionale, oltre per risultati performativi sui diversi livelli di digitalizzazione sia a livello infrastrutturale sia di competenze (DESI, 2022), i Paesi Bassi si sono distinti per un approccio intersettoriale nella costruzione della sua strategia digitale, la “Dutch Digitisation Strategy 2.0”.
Dal 2018, basandosi su puntuali obiettivi di innovazione sostenuti ed indicati dalla Commissione Europea e da un serrato confronto con i cittadini e le imprese e con le best practice internazionali, il Governo olandese si è dotato di una strategia integrata per la digitalizzazione del paese in tutte le sue componenti e per l’utilizzo pubblico dei big dataa supporto dei processi di transizione ed innovazione digitale, sociale e produttiva.
Breve descrizione della Policy
La Dutch Digitisation Strategy 2.0 (DDS, 2019) è basata sul riconoscimento che la transizione digitale è una opportunità per tutti considerando che, per essere affrontata efficacemente, essa deve riguardare i problemi concreti della vita quotidiana delle persone e delle imprese, puntare sull’accessibilità degli strumenti digitale e dei dati, ridurre le asimmetrie informative e fondarsi su una governance integrata e partecipata che sviluppi l’intelligenza artificiale senza trascurare o penalizzare l’intelligenza diffusa dei cittadini, delle imprese e dei funzionari pubblici. Solo così dati e processi digitali possono essere governati come un common.
Gli elementi salienti della strategia olandese possono essere identificati come segue:
- adozione di una strategia intersettoriale costruita in maniera coordinata e collaborativa dai diversi ministeri e coinvolgimento dei principali stakeholder (agenzie governative, imprese e scienziati) nella costruzione delle azioni;
- approccio human-centered rispetto all’intelligenza artificiale;
- utilizzo dei dati attraverso tecnologie blockchain nelle azioni di welfare e per rafforzare la crescita economica, in particolare delle PMI;
- implementazione del data sharing tra Stato, agenzie governative, imprese e cittadini;
- rafforzamento delle competenze digitali nei diversi settori della società a partire dal sistema educativo;
- garanzia di strumenti d’inclusione digitale di tutti i cittadini rendendo anche i servizi digitali governativi maggiormente user friendly;
- strutturazione di una connettività sempre più efficiente e veloce nei diversi contesti urbani e rurali;
- potenziamento degli strumenti di Cybersecurity al fine di garantire un sistema resiliente per la preservazione e la condivisione dei dati.
Il sistema olandese sembra orientato effettivamente ad una accessibilità inclusiva e promozionale dei beni digitali, la cui potenzialità è resa fruibile con opportuni processi di accompagnamento tanto dai soggetti più smart, che possono trarne opportunità significative di innovazione e incremento della propria competitività internazionale, quanto e soprattutto dai soggetti più distanti dal mondo digitale e dai nativi digitali, al fine di consentire loro di accedere a servizi più efficaci e moltiplicare le loro opportunità di benessere.
Grazie ad un sistema regolatorio dedicato e ad una capillare azione di governance, soggetta a revisioni partecipate dagli stakeholders ed annuali, l’agenda digitale riunisce istituzioni nazionali e locali, agenzie pubbliche, soggetti privati, università e centri di conoscenza, cittadini in una alleanza per la costruzione di una smart society in cui i dati ed i processi digitali, ed in particolare i servizi pubblici fisici e digitali in tutti i settori e le forme di sostegno e supporto all’economia, siano orientati all’innovazione permanente, attenti alla protezione e promozione dei diritti individuali, accessibili, comprensibili ed orientati verso tutti i cittadini, personalizzati e disegnati sul ciclo di vita delle persone e delle imprese, configurati per essere pronti alle future esigenze e alle tendenze innovative del settore dei servizi digitali. La strategia lavora simultaneamente sulla vision, sull’architettura ICT del paese, sulla accessibilità degli strumenti e dei servizi digitali, su un uso pubblico, consapevole e sicuro dei dati, considerati come un bene comune, sulla governance del sistema e sulla partecipazione dei cittadini e della società civile nell’orientarlo, sulla protezione e promozione dei diritti, non solo legati alla privacy e alla sicurezza. Una piattaforma cooperativa tra le principali agenzie di regolazione del paese garantisce un costante scambio di esperienze, informazioni e dati che rende flessibile e costante il processo di adeguamento tra norme, dispositivi, bisogni e tendenze innovative.
RISORSE
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