in questo capitolo:
INTRODUZIONE
L’Italia alla resa dei conti, tra una eredità pesante che ne frena lo sviluppo e risorse dormienti da riattivare per generare futuro
Gli inattesi e intensi shock che si sono susseguiti negli ultimi decenni nella società mondiale costituiscono qualcosa di interno alla struttura stessa del modello di sviluppo capitalistico che ha dominato la storia recente e al contempo un mutamento di scala verso un nuovo stadio di ipercomplessità dell’economia e della società (C. Giaccardi e M. Magatti , 2022). ESPANDI
PRINCIPALI EVIDENZE
Il debito italiano: una eredità pesantissima sulle spalle delle nuove generazioni
Attualmente l’Italia è uno dei Paesi maggiormente indebitati al mondo.7 International Monetary Fund (2022a), Central Government Debt, Percent of GDP. https://www.imf.org/external/datamapper/CG_DEBT_GDP@GDD/CHN/FRA/DEU/ITA/JPN/GBR/USA ; International Monetary Fund (2022). Italy Datasets, World Economic Outlook. https://www.imf.org/external/datamapper/profile/ITA Nel quadro europeo, i dati confermano che nel 2021 il debito pubblico italiano era pari al 151% del PIL, una percentuale ben superiore alla media europea attestata all’88% (figura 1). Peggio del nostro Paese fa solo la Grecia, con un debito che sfiora il 200%.
Il trend resta purtroppo negativo: nei primi tre mesi del 2022 il debito pubblico italiano ha raggiunto un valore (provvisorio) pari al 152,6% del PIL, in crescita del +1,8% rispetto alla fine del 2021 (Eurostat, 2022)
Secondo Banca d’Italia, a giugno 2022 il debito italiano aveva un valore pari a € 2.766 miliardi e 376 milioni;
Il dato è strutturale 8 L’Italia è stata fin dalla sua nascita una nazione con un debito pubblico alto. Costituisce un’eccezione nella storia italiana il periodo postbellico che ha conosciuto un boom economico e un peso medio del debito inferiore al 35% del PIL (M. Francese e A. Pace, 2008). . L’andamento del debito pubblico italiano è da anni stabilizzato su percentuali a tripla cifra, ben lontana delle performance degli altri Paesi europei (figura 2).
Tra i problemi principali per l’Italia c’è il pagamento degli interessi passivi maturati sul debito pubblico cumulato.
Nel complesso, si tratta di un’eredità pesantissima per i cittadini italiani di oggi e di domani.
Iniquità orizzontali e verticali: le pensioni come strumento di consenso. Privilegio per pochi, un handicap per tutto il Paese
Un fattore che pesa particolarmente sulla giustizia intergenerazionale è il sistema pensionistico. Per restare in equilibrio, un sistema dovrebbe garantire un rapporto equo tra il tempo della vita lavorativa e quello della pensione. Il rischio è che una vita attiva breve si traduca poi in un handicap per altri lavoratori, in particolare coloro che permettono il pagamento delle pensioni con i loro contributi. Si tratta dei giovani, ma anche di quei lavoratori che entrano nel sistema pensionistico con rapporti vita lavorativa/pensione più equilibrati. L’età della pensione andrebbe pertanto agganciato alla speranza di vita. (A. Brambilla, 2022)9 Il sistema mostra chiaramente la sua insostenibilità e profonde diseguaglianze di condizione. Vi sono infatti lavoratori che hanno goduto di norme che, tra il 1965 e il 1997, hanno consentito l’accesso alla pensione solo dopo 14 anni 6 mesi e 1 giorno di servizio utile (ad esempio, le lavoratrici statali sposate e con figli) o dopo 19 anni 6 mesi e 1 giorni di lavoro (lavoratori statali maschi). Scelte che trovano le loro radici nella malsana gestione del consenso elettorale e hanno utilizzato strumentalmente i prepensionamenti quali ammortizzatori sociali scaricatoi però sul “conto pensioni” e non sul “sostegno al reddito”, come avviene in altri Paesi UE.
Un dato particolarmente eloquente dell’insostenibilità dello scenario italiano è dato dalla spesa pubblica per le pensioni di cui favoriscono le generazioni senior. Secondo Eurostat, nel 2020 la spesa italiana sul capitolo pensionistico era pari al 15,9% del PIL, a fronte di una media europea del 12,7% (figura 3 e figura 4). Questo profilo è destinato a squilibrarsi ulteriormente nei prossimi decenni con l’ingresso dei cosiddetti baby boomers all’età della pensione e la diminuzione della forza lavoro in ragione delle trasformazioni demografiche attese.
Il sistema è già drammaticamente in crisi. Nel 2020, la spesa per le prestazioni previdenziali (sistema obbligatorio) ha raggiunto la cifra di 234,7 miliardi di euro.10 Si tratta, secondo il Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali (2022), di 4,5 miliardi in più sull’anno precedente (+1,95%). Questo importo sale a circa 274,7 miliardi di euro, con un incremento del 2,5% sull’anno precedente, se si considera anche la spesa di carattere assistenziale. Poiché gli impatti della pandemia su redditi e occupazione hanno ridotto le entrate contributive (-6,7%), nel 2020 la differenza tra entrate contributive e uscite per pensioni è risulta negativa e pari a circa 39,3 miliardi di euro (Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali, 2022).11 In totale pari a 195,4 miliardi di euro, con un decremento di quasi 14 miliardi sull’anno precedente (Ibidem).
Tenuto conto della spesa assistenziale, il saldo del sistema obbligatorio non finanziato dalla contribuzione (che ricade sulla fiscalità̀ generale) raggiunge i 79,3 miliardi di euro (Ibidem).12 Si tratta di 20,7 miliardi in più dell’anno precedente (Ibidem).
Tale sproporzione è riconducibile, anzitutto, a scelte politiche del passato che hanno utilizzato strumentalmente il sistema pensionistico a scopo di consenso elettorale. Questo ha generato sperequazioni sia in senso orizzontale, ovvero tra lavoratori appartenenti alle stesse generazioni ma appartenenti a settori diversi (pubblico vs privato), sia in senso verticale, cioè tra adulti e giovani. I danni provocati da queste decisioni sono oggi ben visibili e lo saranno ancor più nel prossimo futuro (Ibidem).
La durata delle pensioni oggi attive è in media di quasi 46 anni nel settore privato e di 44 nel settore pubblico, mentre un sistema equilibrato sotto il profilo attuariale non dovrebbe prevedere prestazioni oltre i 20/25 anni13 423.009 (prestazioni IVS) per il settore privato e 53.270 per il settore pubblico: questi i numeri delle pensioni previdenziali in pagamento con durata di 41 anni e oltre (decorrenza dal 1980 o prima: baby pensioni, prepensionamenti, invalidità) alla data dell’1.1.2021 in capo a INPS. Beneficiano di queste pensioni di lunga durata: nel settore privato 343.064 donne (81,1%) e 79.945 uomini (18,9%); per il settore pubblico, 36.372 donne (68,3%) e 16.902 uomini (31,7%). Si veda A. Brambilla, 2022; Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali, 2022.. Poiché oggi la percentuale dei contributi versati è inferiore alla metà di quella delle prestazioni incassate e la media della vita lavorativa attiva è nel nostro Paese di circa 30 anni, appare lampante l’insostenibilità del modello.
Vanno inoltre considerati, negli scenari futuri del nostro Paese, il peggioramento del rapporto tra pensione media e produttività del lavoro14 Secondo il Rapporto n. 23 del MEF (2022a), le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario 2022, tra le cause dell’aumento dell’incidenza della spesa pensionistica sul PIL va annoverato il peggioramento del rapporto tra pensione media e produttività del lavoro i cui impatti riguarderebbero soprattutto i primi anni considerati dalla simulazione. In seguito, si assisterebbe ad un graduale assorbimento dello shock inflattivo del 2022. con impatti soprattutto sul breve periodo; i trend demografici negativi; il mutamento del quadro macroeconomico, con l’aumento dell’inflazione e l’introduzione del meccanismo di indicizzazione ai prezzi dei trattamenti pensionistici (MEF, 2022b): un combinato che, secondo le proiezioni, porterebbe ad un aumento medio della spesa pensionistica di circa di 0,5% di PIL nel periodo 2022-207015 Le previsioni di spesa per pensioni in rapporto al PIL sono della NADEF 2021. Qualora lo scenario energetico dovesse peggiorare in modo drastico, secondo le simulazioni la spesa per le pensioni andrebbe ad aumentare velocemente per effetto dell’indicizzazione dei trattamenti pensionistici, con un aumento di oltre lo 0,7% nel biennio 2023- 2024 (Ibidem). .
L’evasione fiscale: il buco nero della mancata contribuzione
L’evasione fiscale costituisce una violazione delle norme di legge agita allo scopo di non pagare o pagare meno tasse. Vie prioritarie sono l’evasione delle imposte dirette e l’economia non osservata di cui fa parte l’economia sommersa.16 L’economia non osservata (NOE, Non-Observed Economy) riguarda l’insieme delle attività economiche non comprese dall’osservazione statistica diretta. Costituiscono la NOE il sommerso economico e l’economia illegale; il sommerso statistico e l’economia informale (MEF, 2021) Gli impatti diretti dell’evasione fiscale sono legati alle minori entrate per uno Stato. Quelli indiretti sono distribuiti socialmente, perché si traducono in minori possibilità per l’istituzione di erogare servizi (anche quelli essenziali) al cittadino, con effetti più acuti sulla parte di popolazione maggiormente fragile che non riesce ad acquistare sul mercato quegli stessi servizi.
Uno studio dell’UE (Commissione europea, 2019) stima la perdita di gettito dell’UE a causa dell’evasione fiscale internazionale pari a 46 miliardi di euro nel 2016 (0,32% del PIL)17 L’indagine stima la ricchezza offshore globale pari a 7,8 trilioni di dollari nel 2016 (7,5 trilioni di euro) o al 10,4% del PIL globale. La quota dell’UE è stimata in 1.600 miliardi di dollari (1.500 miliardi di euro), pari al 9,7% del PIL. .Rispetto ai Paesi membri la situazione è molto eterogenea, sia in termini monetari della ricchezza offshore stimata (e della corrispondente evasione fiscale), sia di percentuali di PIL della stessa. Le economie più grandi come Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna si avvicinano alla media dell’UE-28. Gli Stati con la maggiore ricchezza offshore in termini di PIL sono Cipro, Malta, Portogallo e Grecia. Un terzo gruppo di Paesi comprende membri con una ricchezza offshore stimata inferiore al 5% del PIL (nel 2016 questi includono Danimarca, Finlandia, Svezia e Slovacchia e, in media nel periodo, Polonia, Slovenia, Romania e Lituania) (figura 5).
Secondo un’indagine promossa dalla commissione Europea (2020), i Paesi EU avrebbero perso circa 140 miliardi di euro di incassi nel 2018 nell’imposta sul valore aggiunto (Value-Added Tax). L’indicatore “VAT Gap”, sebbene lievemente migliorato negli ultimi anni, resta ancora elevato e con un trend in crescita18 Il Gap VAT è dato dalla differenza tra gli introiti attesi negli stati membri EU e gli importi effettivamente incassati.. In questo ranking negativo, l’Italia si colloca con decisione nelle posizioni di testa: il nostro Paese è primo per milioni di euro di evasione e quarto per percentuale di IVA evasa dopo Romania, Grecia, e Lituania.19 Vedi Commissione europea (2020). Il confronto è schiacciante: l’Italia vede un VAT Gap al 24,5%, contro un 8,6% della Germania, un 7,1% della Francia, un 6% della Spagna, lo 0,7% della Svezia. Inoltre, mentre lo Stato italiano – già in grandissima difficoltà – vede un mancato ingresso di risorse pari a oltre 35 miliardi di euro, la Germania ne perde “solo” 22; la Francia, 12,7 e la Spagna 4,9.
Secondo la Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva del MEF per l’anno 2021, il valore aggiunto generato dal sommerso economico si attestava nel 2018 a 189 miliardi con una incidenza sul PIL del 10,7%20 Si segnala una lieve contrazione rispetto all’anno precedente. Secondo il rapporto, tra il 2015 e il 2018, quindi, il valore aggiunto sommerso si è ridotto di circa 2 miliardi in valore assoluto e di circa 0,8 punti in percentuale del Pil nominale. Si ricorda che le aree più̀ significative dell’economia sommersa sono date dalla correzione della sotto-dichiarazione del valore aggiunto e dall’impiego di lavoro irregolare. .
L’osservazione per macroaree territoriali rileva, nel nostro Paese, la convivenza di comportamenti contributivi molto diversi. Se la media nazionale dell’incidenza dell’economia non osservata è pari al 13,1%, al Sud raggiunge il 18,8%; al Centro il 13,8% e al Nord si attesta tra il 10 e l’11%21 Nord Ovest e Nord Est sono rispettivamente al 10,3% e 10,9% (MEF, 2021). .
Secondo le analisi condotte, il 78,82% degli italiani dichiara redditi fino a 29mila euro e corrisponde il 28,36% di tutta l’IRPEF, mentre il 21,18% dei contribuenti italiani dichiara redditi oltre i 29 mila euro e sostiene il 71,64% del totale IRPEF (Ibidem).
Nel complesso si delinea un quadro di grave squilibrio che non solo non corrisponde al profilo di una economia evoluta, ma anche potrebbe ulteriormente generare ulteriori strategie di exit (come l’evasione fiscale).22 Complessivamente, vivremmo in un Paese segnato da una forte sperequazione, in cui il 43,68% dei cittadini versa il 2,31% di tutta l’IRPEF, a fronte di un 13,22% che ne corrisponde oltre il 58,50%. Per un approfondimento si veda https://www.itinerariprevidenziali.it/site/home/ilpunto/il-punto-di-vista/alcune-notizie-utili-per-la-riforma-fiscale.html.
Per contro è interessante segnalare che le entrate per “giochi” dello Stato italiano ammontino nel 2021 a ben 12.401 milioni di euro, con un incremento del 18% (MEF, 2022c)
Il talento “sprecato” del risparmio privato: una leva per rinnovare il Paese che resta sostanzialmente improduttiva
Il risparmio è lo strumento che può creare le condizioni perché una ingente massa finanziaria, frutto di proventi non speculativi, anziché togliere risorse all’interesse collettivo possa contribuire a ricostruire un piano d’investimenti destinati al beneficio comune. Per questo motivo il potenziale del risparmio privato andrebbe liberato e trasformato in capacità di investimento, soprattutto nell’economia reale e in opere d’interesse collettivo, per garantire al Paese una crescita sostenibile nel lungo termine.23 Se investito in nome dell’interesse generale, il risparmio può trasformarsi da passività in attenzione alla “cura” di quei beni comuni dal cui godimento nessuno può essere escluso (J. Dotti e A. Rapaccini, 2019). Non solo beni pubblici, dunque, ma anche beni relazionali e di fiducia costitutivi dell’amor loci locale, necessari per costruire dinamiche esemplari di contribuzione individuale e collettiva. In una attuale teoria del “valore condiviso” (M.E. Porter e M.E. Kramer, 2011), l’intreccio tra risparmio e commons è da stimolare e praticare, ed è da intendersi quale superamento di un mero rapporto strumentale qualificandosi, invece, come scelta strategica di lungo periodo. In questo senso, il risparmio privato di famiglie e imprese certifica un rapporto sociale, non solo una grandezza economica.24 Il saggio di risparmio dipende dalla struttura demografica e dalla speranza di vita della popolazione; gli accantonamenti sono praticati per attutire le variazioni del reddito da un mese all’altro o da un anno all’altro.
L’Italia è spesso descritta come un Paese ad elevata capacità di risparmio privato. In realtà i dati rilevano un posizionamento al di sotto della media UE per quanto riguarda i risparmi lordi delle famiglie italiane (17,4% ITA contro il 18,4% EU) (figura 6). Più di noi risparmiano significativamente le famiglie irlandesi, tedesche, olandesi e francesi.
Secondo Banca d’Italia- ISTAT (2022), la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane ammonterebbe complessivamente a oltre € 4.800 miliardi25 Secondo i dati Banca d’Italia-ISTAT (2022), alla fine del 2020 le famiglie italiane detenevano una ricchezza netta pari a 10.010 miliardi di euro, in crescita dell’1% rispetto all’anno precedente. La prima forma di investimento delle famiglie italiane è la casa (quasi la metà della ricchezza lorda) pari a un valore di 5.163 miliardi. In aumento risultano le attività finanziarie pari a 4.800 miliardi (per incremento di depositi e assicurativi). Nel complesso, la ricchezza netta delle famiglie italiane è alta se posta in relazione al reddito; è invece tra le più basse se rapportata alla popolazione.. Osservandone l’andamento negli anni scorsi, il risparmio lordo delle famiglie italiane presenta uno sviluppo sostanzialmente stabile, con una significativa impennata tra il 2019 e il 2020 in coincidenza con la pandemia Covid-19, e un ribasso che tuttavia mantiene ancora un ottimo margine sui dati degli anni precedenti (figura 7).
Il risparmio privato costituisce un’eccezionale quantità di risorse finanziarie depositate in forme improduttive nei conti correnti bancari, che solo in parte riescono a confluire nell’economia reale26 Secondo Censis-Aipb (2019), la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane era nel 2018 di 4.200 miliardi di euro. Un elemento caratterizzante è la preferenza degli italiani per la liquidità, mentre si riduce la quota obbligazionaria, azionaria e di altre partecipazioni. Il denaro contante resta la soluzione preferita, sia a causa dell’incertezza, sia dei bassi rendimenti. Un dato confermato anche da una ricerca della Fabi (2022), il sindacato autonomo dei bancari, che evidenzia come la liquidità si confermi la soluzione preferita dagli italiani nella allocazione del risparmio. I dati sono chiari: il contante è cresciuto di 509 miliardi (+45%) e raggiunge il volume di 1.629 miliardi, con una percentuale di denaro lasciato su conti correnti e depositi stabile al 31% del totale delle masse. Scende invece l’attrattività delle obbligazioni (-67% a 233 miliardi di euro); salgono le polizze assicurative (+78% a 1.213 miliardi) che coprono il 23% dei risparmi complessivi. . Il rischio è che questa leva non venga trasformata in volano di sviluppo e benessere collettivo27 Come noto, il risparmio come categoria economica gode di costituzionalizzazione (art. 47) e anche per questo va considerato come bene comune disponibile. Eppure, lo Stato e le istituzioni finanziarie rischiano di non considerare il ruolo sociale del risparmio: basterebbe farlo diventare moneta per interessi convergenti ed essere adoperato in operazioni di affidamento reciproco per la messa in opera di reti, strutture, organizzazioni, servizi, così come il recupero, ridisegno, valorizzazione dei beni infrastrutturali di comunità. Una “economia circolare” è stata realizzata nelle merci, ma non si è ancora concretizzata nell’utilizzo del risparmio finalizzato a pensare e a praticare circolarità di esperienze (processi) sociali e istituzionali con le quali costruire opportunità e combinazioni bilanciate tra policy (pubbliche) e risorse finanziarie (private..
Con il prolungamento del conflitto in Ucraina e l’aumento dell’inflazione, tale extra-risparmio ammassato nel biennio di stasi pandemica incomincia ad essere intaccato dai rialzi record dei prezzi dovuti alla massiccia domanda di commodity – energetiche, tecnologiche, alimentari –, dall’inflazione e dal peggioramento della distribuzione del reddito – che peraltro penalizza pesantemente i giovani occupati più degli adulti –, portando il tasso di risparmio delle famiglie sotto il livello pre-crisi.
Data la generalizzata incertezza appare difficile immaginare il futuro del costo del capitale e dell’utilizzo dell’ingente ricchezza cumulata, così come le capacità di risparmio degli italiani. Verosimilmente, nei prossimi mesi il numero di coloro che non risparmieranno sarà destinato ad aumentare.
Un Paese che investe poco sul futuro
Condizione essenziale per la riduzione del debito pubblico/PIL è la ripresa della crescita economica, rispetto alla quale centrale è il ruolo degli investimenti pubblici e privati in rapporto al PIL.28 I quali dipendono essenzialmente da società e mercati aperti e inclusivi; dalle attese sulla domanda futura; dall’innovazione e dall’impatto che avranno sulla collettività. Per l’Italia, tutte le stime concordano sul fatto che senza una ripresa di una crescita strutturale che la riporti in linea con quella media europea, non sarà facile per il debito italiano essere messo in sicurezza, sebbene non sia facile misurare in modo esatto l’effetto degli investimenti sulla crescita, poiché questi esercitano la loro influenza per periodi di tempo che possono anche essere lunghi.
L’analisi degli investimenti totali per Paese colloca l’Italia nella parte bassa del ranking 29Molti sono i motivi per i quali l’Italia presenta un serio problema di sottoinvestimento di medio-lungo periodo: le imprese hanno ristretto e accorciato la propria prospettiva e lo stesso hanno fatto i governi. La realtà, invece, spinge verso l’esigenza contraria che è quella di allungare lo sguardo, in economia come nella società, poiché bloccare le idee irrigidisce la creatività e impedisce di correggere gli errori, così come chiudere e fermare le persone ai confini sottrae al paese talenti e lavoratori dei quali c’è bisogno. Nel caso del settore pubblico, la spesa corrente impone un continuo ridimensionamento della spesa in conto capitale; mentre nel settore privato si scontrano due ragioni diverse, da un lato la debolezza della risposta imprenditoriale alle sfide di processo, tecnologiche e di apertura ai mercati globali; dall’altro, l’esistenza di un ambiente favorevole in cui si trovano a operare le imprese, non solo in termini di costo del denaro e del lavoro, ma anche delle misure fiscali concesse dai governi per raggiungere determinati obiettivi di politiche del lavoro. . Un gap significativo divide la situazione italiana dalla media europea (17,8% ITA contro 22,5% UE) (figura 8). Importante è il divario con Francia e Germania.
L’analisi della composizione degli investimenti per Paese in Italia mostra il decisivo contributo delle famiglie, che si avvicina alla media europea (figura 9).
Più basse risultano le percentuali dell’apporto dei soggetti economici (10,2% ITA contro 13,8% EU) e del pubblico (2,6% ITA contro 3,3% EU), sebbene si evidenzino segnali di incremento dell’effort nell’ultimo anno (2020 su 2021) (figura 10 e figura 11).
POLICY
Dai Social Impact Bond al Risparmio Generativo
Il risparmio privato, considerato nel suo insieme, quale stock di risorse economiche immobilizzate in strumenti e depositi finanziari, potrebbe essere visto come una potenziale e formidabile leva generativa per lo sviluppo locale e l’accrescimento del benessere. Pur non essendo assimilabile ad un bene comune per la natura privata ed individuale delle sue componenti materiali, il risparmio immobilizzato, se sussistessero policy orientate ad incentivarne l’investimento contributivo in iniziative di sviluppo locale, potrebbe mettere a disposizione delle collettività e degli operatori economici, specie quelli legati al territorio ove viene prodotto, una quantità di risorse finanziarie tale da consentire consistenti possibilità di crescita dell’iniziativa sociale ed economica. Per essere efficace e generativa una policy di questo tipo dovrebbe quantomeno:
- favorire una governance allargata di tale risorsa, fondata su un’alleanza solida tra enti pubblici, intermediari finanziari, operatori economici, risparmiatori e collettività;
- garantire un meccanismo collettivo affidabile per la selezione degli investimenti da supportare, privilegiando la cura dei beni comuni locali e comunitari;
- definire solide misure di impatto degli investimenti effettuati in una logica outcome based;
- prevedere forme di garanzia dei piccoli investitori e premialità per il raggiungimento dei risultati, che rendano l’investimento in beni comuni locali almeno altrettanto remunerativo di altre forme finanziarie di immobilizzazione a basso rischio dei risparmi;
- favorire la partecipazione attiva di tutti gli stakeholders al beneficio prodotto mediante gli investimenti.
Affinché una tale iniziativa possa essere considerata una policy e agire come tale, non è quindi sufficiente né che vengano stabilite norme incentivanti tale tipo di impiego, né che singoli operatori economici o istituzioni locali mettano in atto specifiche iniziative di questo tipo all’interno dei propri sistemi. Si potrebbe parlare di una policy per l’uso generativo del risparmio quando, all’interno del più vasto campo delle politiche economiche istituzionali, fosse definita una alleanza strategica tra gli stakeholders coinvolti e venisse definita una specifica filiera finanziaria, politica ed amministrativa capace di orientare tali risorse alla cura e tutela dei beni comuni locali o di altre finalità di benessere territoriale.
In questo senso oggi non è dato riscontrare, a livello occidentale, vere e proprie policy strutturate di questo tipo, al punto che il risparmio privato immobilizzato o investito con finalità prevalentemente speculative ed estrattive resta assolutamente prevalente rispetto agli impieghi che possono avere finalità sociali.
Cominciano a sussistere e a consolidarsi tuttavia esperienze pilota di investimento del risparmio privato con finalità sociali e di sviluppo locale, che dimostrano come tale risorsa, se opportunamente programmata e gestita, possa essere impiegata con benefici tangibili per tutti gli stakeholder.
È il caso dei SIB, i “Social Impact Bonds”, strumenti di investimento impact based nati intorno al 2010 nel Regno Unito per rispondere a specifiche sfide e problemi sociali, impiegando quota parte delle risorse pubbliche destinate al welfare per remunerare gli investitori privati che sostenessero iniziative capaci di portare cambiamenti positivi nella società, con ritorni crescenti sull’investimento al progredire dei risultati raggiunti (G. Mulgan et al. 2011; OECD, 2016). Tali strumenti, caratterizzati da una garanzia pubblica di base e da una governance fortemente condivisa tra committente/garante pubblico, intermediario finanziario, operatori della social economy e comunità coinvolte nei progetti di investimento, ha consentito di mobilitare impieghi nell’ordine delle centinaia di milioni di sterline, che hanno visto coinvolti soprattutto investitori piccoli e medio-piccoli, tipicamente un target di risparmiatori che non intende mettere a rischio eccessivo il proprio capitale ma che ha una certa propensione a ricercare forme pazienti di investimento (E. Gustafsson-Wright, 2022). Sebbene non si possa in tal caso parlare di una vera e propria policy di uso generativo del risparmio, l’uso abbastanza diffuso che si è fatto di tali strumenti nel Regno Unito ha indubbiamente consentito di mobilitare risorse finanziarie importanti da piccoli investitori e dimostrato che è possibile, con le adeguate condizioni e tecnicalità e concependo le risorse pubbliche come leva per lo sviluppo e non solo strumento di spesa corrente, costruire piani di investimento in beni comuni locali e risultati di benessere sociale complessivamente remunerativi (D. Edmiston e A. Nicholls 2018; L. Becchetti et al. 2021).
Vanno in questo senso, e potrebbero rappresentare un importante pilastro per fondare una policy per l’uso generativo del risparmio, anche i dispositivi disegnati dal legislatore italiano con gli articoli 77, 78, 81 del D. Lgs 117/201730 Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (2017). Decreto Legislativo 3 luglio 2017, n. 117. https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/08/2/17G00128/sg, cosiddetto “Codice del Terzo Settore”. Tali disposizioni introducono e sistematizzano nell’ordinamento italiano tre istituti: i titoli di solidarietà, il social lending ed il social bonus, che consentono in vario modo la mobilitazione del risparmio privato per sostenere progetti ed attività di interesse generale degli Enti di Terzo Settore e delle Amministrazioni Locali. Si tratta di istituti che, quando l’investimento riguarda beni comuni locali, come immobili pubblici e spazi pubblici da riqualificare, o attività di interesse sociale, applicano in modo importante la leva fiscale per incentivare gli intermediari finanziari e gli investitori piccoli e medi ad impiegare le proprie risorse per sostenere progetti con tali finalità. Trattandosi di norme recenti, in alcuni casi attuate solo da pochi mesi, non è dato ancora dire quanto lo strumento verrà utilizzato e che esiti porterà, ma l’infrastruttura normativa definita dal legislatore italiano, se adeguatamente promossa e supportata da una governance efficace, potrebbe essere idonea, nel quadro della social economy europea, a divenire un ambito importante di sviluppo dell’uso generativo del risparmio
RISORSE
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Brambilla, A. (2022). La durata delle pensioni e quei conti che non tornano mai. Itinerari Previdenziali.
Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, (2022). Il Bilancio del Sistema Previdenziale Italiano. Andamento finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2020. Rapporto n. 9, anno 2022.
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D’Alessio, G., De Bonis, R., Neri, A. e Rampazzi, C. (2020). L’alfabetizzazione finanziaria degli italiani: i risultati dell’indagine della banca d’Italia del 2020. Questioni di Economia e Finanza, n. 588.
Dotti, J. e Rapaccini, A. (2019). L’Italia di tutti. Per una nuova politica dei beni comuni. Vita e Pensiero, Milano.
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