CONSIDERAZIONI FINALI
VIA DALLA GABBIA (semi)DORATA
Riaprire il futuro delle nuove generazioni
Riaprire il futuro delle nuove generazioni
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Nel corso degli ultimi tre decenni, i tassi di crescita dell’economia italiana sono rimasti molto al di sotto della media europea. Di fatto, la capacità del nostro Paese di partecipare da protagonista al ciclo di sviluppo capitalistico iniziato agli albori degli anni Novanta – fase che da un punto di vista politico ha coinciso con la nascita della cosiddetta “seconda Repubblica” – è stata limitata.
È attorno a questo nodo – adesione all’idea (illusoria) di crescita come pura espansione/incapacità del nostro Paese di porre le premesse per una crescita sostenibile – che prendono forma i quattro grandi debiti che l’Italia ha accumulato in questi anni e che ne costituiscono la pesante eredità: quello finanziario, con un debito pubblico che oggi si attesta intorno al 140% del PIL; quello educativo-formativo, con livelli di scolarità tra i più bassi d’Europa; quello ambientale, che si traduce nel diffuso dissesto idro-geologico che infragilisce il territorio italiano, oltre che nella presenza della zona più inquinata d’Europa (la Pianura Padana); infine, quello demografico, con un tasso di fecondità ai minimi storici e l’inizio di un processo di spopolamento. Da questo indebitamento strutturale deriva lo stato allarmante dell’equità intergenerazionale che per l’Italia registra un progressivo peggioramento: utilizzando una immagine efficace, se descriviamo il divario generazionale come un muro da superare da parte dei giovani italiani, posta al 2006 l’altezza di 1 metro, nel 2011 il muro era cresciuto a 1,32cm e nel 2021 a 1,40cm.1 Fondazione Bruno Visentini, Il divario generazionale. La generazione X e la permacrisi, 2022
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Negli ultimi mesi il dibattito pubblico si è molto focalizzato sulla questione demografica. Il problema è noto da tempo, ma oggi gli indicatori sono diventati talmente preoccupanti da rendere impossibile tacerli. L’immagine di “inverno demografico” restituisce però solo in parte le dinamiche involutive della popolazione italiana. Come è stato correttamente sottolineato, l’inverno fa parte di un ciclo vitale a cui fa seguito la primavera, mentre la situazione italiana rimanda a una dinamica involutiva, più simile a una “glaciazione demografica”. Il numero dei giovani continua, infatti, a calare sia in percentuale che in numeri assoluti e le previsioni per il futuro non sono rosee: gli studi indicano che nel 2030, al netto dei flussi migratori, i giovani tra i 20 e i 34 anni saranno 580.000 in meno rispetto ad oggi.2 Lies, Damned Lies and Statistics: un’indagine per comprendere le reali dimensioni della diaspora dei giovani italiani, a cura di Fondazione NordEst e Talented Italians in UK
Bene, dunque, parlare di demografia ma con la consapevolezza che, quando lo si fa, si prenda atto che stiamo parlando dei giovani, delle loro difficili condizioni di crescita e, indirettamente, ma non secondariamente, di cosa potrebbe servire per invertire la rotta e aiutarli a pensare nuovamente all’Italia come un luogo in cui investire tempo, intelligenza e capacità. In cui costruire legami durevoli, di famiglia e di territorio. In cui immaginare di mettere al mondo dei figli. Dei giovani, purtroppo, in Italia si parla ancora troppo poco – anche a causa di un effetto “trascinamento” prodotto dal crescente peso degli anziani e dei loro costi sociali – e, quando lo si fa, difficilmente seguono azioni trasformative dell’esistente.
Contrastare le tendenze demografiche significa, invece, rimettere al centro dell’agenda del Paese le giovani generazioni ed impostare politiche che siano rivolte prioritariamente e coerentemente alle nuove generazioni. Perché è solo ripartendo da loro, con decisione, che il Paese potrà darsi un futuro.
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Questo secondo rapporto Italia Generativa dimostra con chiarezza la situazione che vivono i giovani italiani: il confronto sistematico tra posizionamento dell’Italia e quello degli altri Paesi europei mette in evidenza oggettivi svantaggi. Sono pochi gli indicatori che vedono l’Italia in posizione di avanguardia. Tra le rare note positive, vanno segnalate una certa propensione all’autoimprenditorialità (anche se, purtroppo, frustrata da fattori strutturali) e, con maggiore evidenza, la minore esposizione nei confronti di alcune delle patologie che colpiscono con più frequenza i ragazzi europei. Si tratta, quest’ultimo, di un dato non privo di interesse che sembra segnalarci, da un lato, una tenuta dei contesti sociali di riferimento, e, dall’altro, la persistenza di risorse giovanili che potrebbero essere mobilitate e attivate costruttivamente.
La positività di queste due note non appare però sufficiente a modificare il giudizio complessivo che emerge dal Rapporto: l’Italia resta un Paese bloccato nei suoi dinamismi e in ritardo rispetto a processi di modernizzazione che altrove hanno già dimostrato di funzionare, generando impatti positivi a livello demografico, economico e sociale per le generazioni presenti e aprendo nuove opportunità per quelle future. Affermare questo non significa certo arrendersi, bensì prendere atto dell’urgenza di una nuova azione. Il Rapporto illumina alcuni passaggi particolarmente critici in cui restano incagliati i giovani italiani e le loro attese di futuro. È forse da qui che si potrebbe ripartire per ridisegnare il Paese incominciando a mettere mano per ridare vita, equità e creatività alla relazione tra le generazioni.
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Non è possibile immaginare l’autonomia senza il supporto di una adeguata dotazione. Oggi, ancora più di ieri probabilmente, sono la qualità e la coerenza dei percorsi educativi e formativi a fare la differenza nell’affrontare con maggiore fiducia e probabilità di realizzazione le sfide della crescita e della piena fioritura personale, a livello professionale, sociale, economico, culturale, civico, politico. Parlare di educazione e formazione significa, quindi, mettere a fuoco quei percorsi nei quali un giovane è accompagnato da una molteplicità di attori a trovare la sua unicità, ad acquisire gli strumenti più idonei per sviluppare appieno le sue molteplici intelligenze, ad allargare il suo potere di azione e ad avviare dialoghi critici e creativi con i diversi mondi della vita.
A questo riguardo, il Rapporto illumina una Italia in vistoso ritardo nel confronto con i principali Paesi europei. Intanto, il quadro delle competenze acquisite è a dir poco problematico. Il mancato raggiungimento degli standard attesi in lettura, matematica e scienze coinvolge una quota inaccettabile di 15enni italiani. La situazione è particolarmente pesante al Sud, con punte massime in Calabria e in Sicilia.
Non va meglio nell’area del digitale. Tra i giovani italiani di età compresa tra i 16 e i 29 anni poco meno di un terzo raggiunge un livello di competenze digitali superiori a quelle di base. L’Italia si colloca tra le ultime posizioni in Europa, quasi 10 punti percentuali al di sotto della media UE. Altra nota dolente è il numero degli Early Leavers: in Italia, più di un giovane su dieci abbandona prematuramente gli studi. Occorre poi considerare il tendenziale schiacciamento dei percorsi scolastici: quasi un quarto dei giovani maschi italiani tra i 25 e i 34 anni ha raggiunto al massimo un titolo di studio secondario di primo grado (“licenza media”), quota che scende al di sotto del 20% per le coetanee connazionali. Inoltre, siamo al penultimo posto nell’UE per quota di giovani che hanno conseguito almeno un titolo di studio terziario.
Percorsi brevi anche per i giovani stranieri: l’Italia si colloca al penultimo posto in Europa per quota di cittadini non comunitari in possesso di un titolo di studio terziario (11%), un dato molto distante rispetto alla media UE, oggi circa il triplo.
Infine, la bassa attrattività ed apertura della maggior parte delle università italiane. Un solo dato: gli atenei italiani nel 2021 contavano circa il 16% di dottorandi stranieri, una quota inferiore alla media dei Paesi osservati di circa 11 punti percentuali.
Il sistema formativo italiano è certamente ricco di eccellenze che consentono a tanti giovani di presentarti pronti alla chiamata delle sfide contemporanee. Non è un caso se numerosi laureati e laureate italiane conquistino ampi spazi e riconoscimenti all’estero, nelle università, nei mondi della ricerca e dell’impresa. Ma questo non può bastare, in un tempo in cui il Paese – per essere sostenibile e prosperare – ha bisogno di valorizzare appieno tutte le sue risorse, soprattutto quelle giovani. Come insegna Calvino, occorrerebbe misurarci con la pietra più fragile del ponte. Per questo è necessario investire di più sulla scuola e sulle università, adottando scelte che avvicinino questi mondi a quello del lavoro, agevolando dialoghi e transizioni. Occorre evitare la formazione di due universi: il primo composto dai giovani che hanno acquisto la dotazione necessaria per guardare positivamente al futuro e che diventano motore di sviluppo per l’intero Paese o, non raramente, per altre società ed economie; il secondo, che raccoglie coloro che non sono riusciti, per ragioni molteplici, a completare il loro percorso e che sono a rischio di esclusione sociale ed economica.
Come il Rapporto ci ricorda, oggi lo Stato italiano spende il 2.84% del PIL in istruzione primaria e secondaria, una quota non distante dalla media UE, ma inferiore a quanto spendono Paesi come la Francia e il Regno Unito. Inoltre, la quota di spesa pubblica destinata all’istruzione terziaria è pari allo 0.78%, un dato decisamente più basso rispetto alla media UE (1.20%) e a quella dei principali Stati europei.
Ci si domanda come sia possibile pensare di accompagnare seriamente al futuro le giovani generazioni senza un rinnovamento profondo del nostro sistema formativo. Peraltro sollecitato dal recente rapporto UNESCO “Re-immaginare i nostri futuri insieme: un nuovo contratto sociale per l’educazione”, pubblicato alla fine del 2023. Serve un’innovazione di design che scelga la strada del decentramento, che preveda una maggiore valorizzazione delle diverse vocazioni professionali (che, tra l’altro, supportano tutto il sistema del Made in Italy), l’adeguamento delle strutture, lo svecchiamento di procedure e del corpo insegnante (come il Rapporto ci ricorda, è il più vecchio d’Europa) e alla sua valorizzazione anche economica e sociale.
Mettere al centro le nuove generazioni non significa anche consentire alla scuola e alla formazione di contare di più?
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Quando si parla di giovani si parla di lavoro. A questo riguardo i dati del Rapporto sono particolarmente preoccupanti. Per molti aspetti la situazione è già nota, ma ricomporre le informazioni fa indubbiamente un certo effetto. Innanzitutto, il nostro Paese si colloca al penultimo posto per quota di giovani occupati a tre anni di distanza dal conseguimento del titolo di studio, e ciò vale tanto per i laureati quanto per i diplomati. Relativamente al numero di NEET – giovani che non studiano, non sono in formazione e non lavorano – l’Italia è al secondo posto in Europa, con punte particolarmente significative al Sud. Come in Sicilia, dove oltre il 40% delle giovani donne e il 35% dei giovani uomini non risulta inserito né in percorsi formativi, né professionali. Anche in tema di disoccupazione giovanile il nostro Paese si trova nella parte più bassa del ranking. Rilevante è poi anche la questione salariale, che in Italia registra ormai da molti anni una crescita molto inferiore a quella dei principali partner, con uno schiacciamento delle retribuzioni medie rispetto ad altri contesti europei, difficoltà di stabilizzazione dei contratti e diffusione del part-time involontario. Tutte dinamiche che incidono in modo particolare sui giovani che finiscono per rimanere bloccati nella trappola di una marginalità peraltro non sempre avvertita come problematica per la capacità contenitiva e di supporto dei contesti locali e famigliari. Le poche note favorevoli sono lo sviluppo dell’economia circolare e una certa propensione per il lavoro autonomo rispetto a quello dipendente dei giovani italiani. Un dato, peraltro, ridimensionato dagli indicatori sull’intenzione ed effettiva attivazione imprenditoriale che riconfermano ormai da anni per il nostro Paese un tendenziale basso dinamismo.
Questi dati vanno inseriti in uno scenario in grande trasformazione che vede i giovani italiani orientarsi nel mondo del lavoro sulla base di nuovi criteri che vanno presi in considerazione nel ripensare la transizione scuola-lavoro e, più ampiamente, la relazione giovani-lavoro. Ad esempio, nella ricerca di una occupazione, quasi l’80% dei rispondenti considera in qualche misura importante l’impegno sociale delle imprese. Rispetto ai loro coetanei europei, i giovani italiani appaiono più inclini a considerare l’impresa come un attore sempre più responsabile sia sul piano sociale che ambientale. Si tratta di un cambiamento significativo che investe l’idea di cosa sia oggi “valore” (cioè, ciò che vale, che conta) e di come sia possibile crearlo senza pregiudicare il futuro per le generazioni presenti e future. Parliamo di un nuovo mind-set che, criticamente, persegue il definitivo superamento di modelli produttivi estrattivi a favore di approcci ecosostenibili e dunque di più lungo periodo. È attorno a questa ricerca – che ricombina la custodia delle radici italiane con l’innovazione – che è oggi possibile intercettare alcune tra le esperienze più promettenti a livello di intrapresa giovanile, nel capo del turismo responsabile o dell’agricoltura multifunzionale e sostenibile.
In Italia, l’ingresso di un giovane nel mondo del lavoro continua ad essere un passaggio particolarmente critico. Nonostante l’attuale dinamicità del mercato del lavoro, la fame di lavoratori da parte delle imprese e l’opportunità di sviluppo offerta dalle tante sfide aperte – dalla sostenibilità al digitale – nel nostro Paese domanda ed offerta di lavoro rischiano, paradossalmente, di non incontrarsi. I giovani italiani rimangono spesso imprigionati in occupazioni di bassa qualità, mentre il Paese – come già ricordato – presenta una delle più basse percentuali di 15enni dotati di quelle competenze considerate indispensabili per costruire percorsi solidi di vita e lavoro nel XXI secolo.
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Altro tema trasversale del Rapporto è la questione femminile, che costituisce un elemento fondamentale della relazione tra l’universo giovanile e il futuro del Paese. Nel confronto europeo, il nostro Paese vede il più basso tasso di occupazione femminile: risulta occupata poco più di una donna su due di età compresa tra i 20 e i 64 anni. Parliamo di 15 punti percentuali al di sotto della media Europea. Ancora, l’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa anche per percentuale di donne occupate nel settore dei servizi knowledge intensive sul totale dell’occupazione femminile, mentre i dati italiani sull’iniziativa imprenditoriale riconfermano l’importante svantaggio delle giovani donne imprenditrici. Positivo invece il fatto che il divario retributivo di genere risulta nel nostro Paese tra i più contenuti d’Europa. Al di là quest’ultimo aspetto, rimane il fatto che l’Italia non potrà realisticamente immaginare alcun rilancio – economico, sociale, culturale e demografico – senza la capacità di riconoscere, coinvolgere ed attivare il grande potenziale inespresso costituito dalle giovani donne italiane, che di fatto costituiscono la componente più qualificata e per molti aspetti più dinamica e motivata della popolazione giovane del nostro Paese. Eppure, quello che i dati rimandano è oggi la persistenza di un doppio vincolo che vede le giovani donne intrappolate nel trade-off investimento professionale vs maternità, così come nella mancanza di sostegni nella gestione del difficile equilibrio tra tempi di lavoro e di cura. Per compiere un passo avanti è necessario, dunque, un salto culturale che deve investire tanto la società quanto le imprese: sul lato sociale, predisponendo quei servizi e sussidi necessari al percorso della maternità; sul lato organizzativo e imprenditoriale, superando il pregiudizio nei confronti della gravidanza femminile e creando contesti in grado di sostenere questa decisione che non è privata ma ha sempre un valore collettivo. E in questo quadro, non va dimenticata la componente più silenziosa e inattiva rappresentata dalle giovani italiane che per lo più abitano il Meridione e che rimane spesso fuori dai radar. Un capitale importante, che continua a restare intrappolato nel gorgo aspettative culturali-mancanza di opportunità. Una condizione letteralmente “fuori tempo/fuori dal tempo” che va urgentemente rimessa in moto e allineata al ritmo della contemporaneità.
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I dati ci confermano che in Italia il passaggio all’autonomia economica e abitativa costituisce lo snodo che di fatto blocca molte delle energie creative dei più giovani. A determinare questa caratteristica concorrono diversi elementi culturali e socioeconomici: il peso dei legami famigliari; l’organizzazione scolastica, in specie universitaria; le dinamiche del mercato del lavoro. Il blocco non riguarda solo l’infelice record italiano di giovani che non studiano e non lavorano e che in linea generale vivono mantenuti dai genitori, ma anche coloro che, pur studiando o lavorando, non riescono ugualmente ad accedere ad un’autonomia abitativa, a causa dell’aumento dei costi degli alloggi (anche in affitto, anche per gli universitari) e delle utenze (a partire dai costi energetici). Di recente è stato giustamente segnalato che il problema è aggravato dal fatto che l’instabilità lavorativa dei giovani italiani – che fanno fatica ad avere un rapporto di lavoro stabile – e l’introduzione di criteri algoritmici sempre più stringenti per l’accesso al mutuo casa rendono molto difficile per le nuove generazioni l’investimento sul proprio futuro. Col risultato di riprodurre le disuguaglianze famigliari e restringere l’orizzonte temporale delle nuove generazioni. Non è solo che l’ascensore sociale è bloccato da anni. Il combinato disposto di instabilità lavorativa e difficoltà di accesso alla casa funziona come stabilizzatore delle diseguaglianze intergenerazionali, spingendo verso una società più classista, dove le divisioni vengono dettate dalla appartenenza famigliare.
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Le dinamiche che ci sono sviluppate nel mercato del lavoro e in quello della casa si sommano e si amplificano influenzando profondamente il percorso che porta alla vita adulta. Percorso che si è ormai quasi completamente destrutturato. I passaggi che erano segnati dal conseguimento di un titolo di studio, dal servizio militare, dall’ingresso nel mondo del lavoro con una occupazione stabile, dal matrimonio con la creazione di una famiglia, dall’acquisto di una casa di proprietà si sono tutti indeboliti. Non c’è più alcun rito di passaggio che permetta di separare le diverse fasi della vita – salvo la nascita di un figlio, momento che non a caso viene sempre più ritardato fino in molti casi a perdersi – e questo non aiuta il percorso verso l’autonomia, con troppi giovani che rimangono in una condizione di semi-dipendenza molto a lungo. Dentro una nicchia di instabilità e provvisorietà che diventa, in realtà, una trappola in cui si resta impigliati. Senza contare che occorre mettere in conto anche un sempre possibile “effetto boomerang”: il movimento di chi si trova suo malgrado costretto a ritornare nella famiglia di origine a causa dell’insostenibilità del costo della vita autonoma.
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Eppure, il profilo culturale delle nuove generazioni non corrisponde al ruolo in cui la società italiana li condanna. Come già in passato, le nuove generazioni sono portatrici di una diversa idea di mondo rispetto alla popolazione più adulta. Che rimane prigionare di una ambivalenza di fondo. Da un lato, i giovani di oggi godono di un livello di benessere maggiore delle precedenti generazioni; dall’altro, essi hanno visto il succedersi di una serie di crisi che hanno modificato la percezione del futuro. Il mondo viene vissuto come altamente instabile e problematico, una realtà nella quale non si desidera più di tanto entrare. Ciò spiega la diversa elaborazione del distacco che caratterizza il mondo giovanile da quello adulto, che non si manifesta più attraverso la contestazione generazionale ma secondo una duplice modalità: da un lato, la ricerca di equilibri diversi tra le differenti componenti della vita, che trova espressione nel cosiddetto fenomeno delle grandi dimissioni e, più in generale, di un diverso rapporto con il lavoro; dall’altro, l’esperienza diffusa di un’ansia profonda, che finisce per costituire un freno allo slancio creativo e alla fiducia in se stessi. Il risultato è un’attitudine ad evitare lo scontro e il conflitto, spesso associato alla tendenza alla rinuncia e al ripiegamento su una nicchia di benessere (o, viceversa, malessere) personale. A questo riguardo, i dati del Rapporto segnalano una situazione di minore criticità dei giovani italiani rispetto a quella dei coetanei stranieri. Patologie e dipendenze sono fenomeni anche italiani, e pertanto vanno prevenuti e monitorati. Eppure, essi non presentano, nel nostro Paese, la medesima consistenza di altri contesti europei, come attestano le tendenze suicidarie o i dati relativi agli episodi di bullismo. È stato già anticipato: si tratta di un segnale positivo, soprattutto nel quadro non semplice che il Rapporto tratteggia per il nostro Paese. I grafici sembrano suggerirci la presenza di due asset: da un lato, l’esistenza di risorse e strategie, o comunque di una certa resilienza da parte dei giovani italiani; dall’altro, la disponibilità di contesti e relazioni in grado, ancora, di fare in qualche misura da ammortizzatori al disagio sociale. E pur considerando, in questa lettura, anche un possibile ritardo nella diffusione dei fenomeni presi in esame nel nostro Paese, i dati rimandano ad una “qualità della vita” che ancora persiste e che costituisce un capitale prezioso per il benessere delle nuove generazioni.
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Nell’Italia del 2024, tutto ciò aiuta a comprendere le ragioni profonde del blocco generazionale che rischia di mettere a repentaglio il futuro del Paese. La nostra è una nazione prospera che negli ultimi settant’anni ha creato una ricchezza significativa. I giovani di oggi vivono ancora, mediamente, in una condizione di benessere materiale e godono di reti relazionali e ambienti sociali che, per molti aspetti, li proteggono. Di fronte a loro hanno però un mercato del lavoro che, mediamente, non offre grandi possibilità, con retribuzioni spesso poco interessanti e che non raramente li condanna per anni ad una instabilità cronica. Per di più, le giovani generazioni faticano a raggiungere una vera autonomia di vita che passa necessariamente attraverso la condizione abitativa. In un contesto culturale di individualismo diffuso, dove a prevalere sono le dinamiche conservative delle generazioni senior, i giovani rischiano di restare sempre più al palo, imprigionati nella rete di un benessere ricevuto e non conquistato, che qualche volta disinnesca il desiderio e più spesso li relega ai margini dell’economia e della società. Prigionieri di una “gabbia (semi) dorata”, molti ragazzi rischiano di “stagnare”, perdendo la spinta creativa e l’energia motivazionale ed adagiandosi a una prospettiva del “giorno per giorno” di brevissimo termine e di basso profilo (benché non privo dei suoi piccoli piaceri e di micro sicurezze), che diventa strategia di vita. Un adattamento negativo per loro e per l’intero Paese.
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Una condizione che rafforza ed è a sua volta rafforzata dalla distanza che i giovani avvertono nei confronti delle istituzioni3 Nella maggior parte dei paesi analizzati, inclusa l’Italia, cala la fiducia dei giovani nei confronti dei governi nazionali comparata a quella della popolazione totale. Nel nostro Paese, solo il 24% della popolazione tra i 15 e i 29 anni ha dichiarato di fidarsi del governo nazionale (media 46% dei giovani dei paesi OCSE). e che arriva ad alimentare il senso di sfiducia e la scelta dell’exit rispetto alla partecipazione. Anche rispetto all’adesione alle attività di volontariato si registra un certo calo, soprattutto nella forma organizzata e associativa. Al di là invece della mobilitazione anche significativa che si genera nei momenti di emergenza, come ad esempio nel caso della recente alluvione in Romagna. Si tratta di un dato che non va sottovalutato, tenuto conto che è quando i giovani sono coinvolti e potenziati nel loro potere di essere e di agire che l’economia diventa più forte, la società più coesa e resiliente, e la democrazie più viva (OECD, 2018)4 Youth Stocktaking Report, OCSE, 2018. I dati dimostrano, inoltre, che più elevati livelli di soddisfazione per la propria vita vengono espressi dai cittadini di Paesi in cui le diseguaglianze legate all’età sono più basse.5 Governance per i giovani, Fiducia e Giustizia intergenerazionale. Adeguata per tutte le generazioni? Risultati principali per l’Italia, OECD, 2020 Riportare al centro del dibattito politico la questione della giustizia tra le generazioni diventa, allora, azione prioritaria per garantire insieme coesione, prosperità e sostenibilità, che è primariamente sostenibilità intergenerazionale. Si tratta, in altre parole, di tenere insieme ciò che nel dibattito è spesso invece separato: la questione intergenerazionale, infatti, è un elemento costitutivo del principio di sostenibilità che deve sempre più diventare uno dei punti di riferimento degli assetti sociali ed economici che si stanno costruendo in questi anni.
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La problematicità della situazione italiana è avvertita e vissuta dagli stessi giovani. Essa diventa, cioè, una condizione che qualifica la generazione di questi anni e, di conseguenza, i comportamenti concreti. In effetti, più che le parole, parlano i fatti. Anche se con un lieve rallentamento nell’ultimo anno, sono usciti dal nostro Paese 50.000 under40 (un flusso che, considerando i rimpatri, produce un saldo negativo di 20.000 unita). Si tratta di un fenomeno non episodico, che acquista forma e urgenza se considerato in una prospettiva temporale più ampia. Le ricerche6 La ricerca Lies, Damned Lies and Statistics: un’indagine per comprendere le reali dimensioni della diaspora dei giovani italiani, a cura di Fondazione NordEst e Talented Italians in UK ci dicono che l’emigrazione italiana riprende forza e consistenza nel secondo decennio degli anni Duemila. Il movimento si caratterizza per tre dati interessanti: anzitutto la giovane età degli emigranti (anche se questo non costituisce una novità storica); in secondo luogo, il grado di istruzione elevato (il 30% laureati nella stessa coorte), sebbene un quarto del totale non abbia completato le scuole superiori; infine, le regioni di partenza, che sono principalmente quelle del Nord Italia.
Secondo dati Istat, tra il 2011 e il 2021, 451.585 giovani italiani tra i 18 e i 34 anni hanno trasferito all’estero la residenza (per contro, 134.543 l’hanno trasferita nel nostro Paese). Il saldo migratorio di lungo periodo è dunque negativo: con 317.042 giovani in uscita (raggiunge quasi il numero di 600.000 il saldo migratorio totale di italiani nello stesso arco temporale). Il quadro appare però parziale, se si considera che non tutti i giovani che decidono di andare all’estero si registrano all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero). Alcune stime indicano che, per il decennio 2011-2021, i numeri reali siano, in effetti, il triplo di quelli ufficiali: l’Italia dovrebbe fare ben altri conti, considerando quasi 1,3 milioni di emigrati, una cifra non distante, da quanto avvenne negli anni Cinquanta.7 La ricerca Lies, Damned Lies and Statistics: un’indagine per comprendere le reali dimensioni della diaspora dei giovani italiani, a cura di Fondazione NordEst e Talented Italians in UK
La perdita in termini di capitale umano è impressionante8 La stessa ricerca di Fondazione NordEst e Talented Italins in UK quantifica in circa 38 miliardi di euro di “perdita” in capitale umano per il decennio 2011-2021., considerato anche il fatto che coloro che lasciano il Paese sono giovani formati e fortemente motivati a trovare altrove quelle opportunità che da noi non esistono o non sono percepite come aperte a tutti. Ugualmente impressionante è considerare il fatto che nel 2022 sono nati all’estero 91.000 bambini da giovani coppie di italiani residenti all’estero. Quasi un quarto di tutti quelli nati in Italia. Basterebbe questo dato per correggere significativamente il trend demografico del nostro Paese.
Come è stato da più parti ripetuto, la mobilità delle nuove generazioni non è di per sé un problema. Anzi, da diversi punti di vista può essere considerato un segno di vitalità e di apertura. Ma è difficile sostenere che questa interpretazione ottimistica sia appropriata per il nostro Paese. In primo luogo, perché l’Italia riesce ad attirare pochi giovani stranieri, soprattutto ad alta qualificazione. Inoltre, perché buona parte dell’immigrazione italiana è mossa dalle scarse possibilità effettivamente disponibili nel nostro Paese. La situazione oggi è tale per cui si può affermare che, allo stato delle cose, sia razionale per un giovane decidere di lasciare l’Italia, sia per accedere ad opportunità più gratificanti dal punto di vista salariale e professionale; sia per poter guardare al futuro con meno preoccupazione. Il nostro, infatti, appare un Paese indebitato e avviato verso un invecchiamento che peserà enormemente sulle spalle dei più giovani: tra i dati che maggiormente influiscono sul divario generazionale nel nostro Paese c’è l’indicatore “pensione.” Secondo le simulazioni INPS, un ragazzo o una ragazza che entrasse oggi nel mondo del lavoro potrebbe accedere alla pensione non prima dei 70 anni e con una pensione calcolata solo con il metodo contributivo. Va inoltre considerato che solo 1,5 milioni di under25 sono iscritti a una forma pensionistica complementare (tra cui solo 500.000 donne9 Fondazione Bruno Visentini, Il divario generazionale. La generazione X e la permacrisi, 2022 ). È dunque questo il nocciolo della questione, la prima urgenza nazionale: quella di cambiare questa situazione tornando a rendere ragionevolmente attraente la decisione di continuare a vivere, a lavorare, a investire in Italia. Ma se così stanno le cose, è necessario porsi alcune domande: come è possibile creare le condizioni per cui rimanere in Italia diventi nuovamente una scelta ragionevole? Come trasformare il nostro Paese in un luogo attraente per le nuove generazioni, capace di suscitare il loro interesse e il loro desiderio perché possano decidere di viverci? La strada da percorrere è ancora lunga.
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Tutte le sfide fin qui richiamate, non toccano sono l’Italia ma sono presenti anche negli altri Paesi europei. Tuttavia, come si è osservato, il caso italiano si distingue per la scarsa efficacia degli interventi volti a cambiare lo stato delle cose. Vi sono forti dubbi che il funzionamento delle istituzioni italiane sia tale da permettere di affrontare e gestire in modo efficiente i problemi nella loro complessità. Che è peraltro un carattere tipico di una società avanzata. Si tratta di un punto qualificante. Due sono i blocchi che impediscono un’azione efficace.
Anche per questo la questione demografica va vista come un banco di prova per il Paese: riuscire a sciogliere questo nodo sarebbe il segnale di quel salto di qualità culturale e amministrativa di cui abbiamo bisogno.
Per superare questa impasse, infatti, serve un approccio integrato per affrontare insieme il nodo demografico, la questione della sostenibilità, i temi della scuola e della formazione. In questi anni si è parlato molto di semplificazione: è evidente che la prima azione in questo senso consiste nell’integrare le politiche ed evitare la moltiplicazione delle norme che impediscono l’iniziativa economica, oltre che la capacità riproduttiva.
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Scardinare il blocco generazionale che sta fermando il Paese non è un obiettivo semplice, perchè comporta avere il coraggio di mettere in discussione la struttura degli interessi, delle rendite, dei diritti acquisiti, del peso elettorale delle diverse fasce di età che, nei fatti, finiscono per costituire un fronte di resistenza al rinnovamento del Paese e a un maggiore equilibrio generazionale. E’ più facile che ogni movimento di novità si depotenzi, che ad ogni annuncio non seguano fatti, generando così nuova sfiducia.
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La leva politica può derivare dalla comprensione del cambio di fase che il sistema capitalistico sta subendo e che cambia le stesse condizioni della crescita economica: nello scenario contemporaneo, la crescita non si dà più come semplice effetto collaterale della espansione globale ma come conseguenza della capacità di ricreare le condizioni economiche, sociali, culturali, istituzionali, demografiche ed educative che la rendono possibile. Per far questo, occorre una qualità politica e istituzionale che negli ultimi decenni nel nostro paese è mancata. La riprova di questa affermazione è riscontrabile proprio nella crisi demografica: vivere in una società avanzata significa che persino un’azione così naturale come la riproduzione biologica non avviene se non si creano continuamente le condizioni affinché tale azione possa avere luogo. È un passaggio importante che in Italia non siamo riusciti a fare, divisi come siamo stati tra difensori della famiglia come “fatto naturale” e oppositori che, per ragioni ideologiche, hanno da sempre rifiutato la famiglia. I vari interventi di policy che si sono susseguiti negli anni sono stati frammentati, e quindi poco efficaci. Ma per affrontare la questione giovanile e con essa il rilancio della capacità di crescere del Paese occorre un approccio integrato e complesso. Un cambio di passo difficile, ma necessario.
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Visto dal punto di vista dei giovani, il futuro appare poco esaltante in tutta Europa (IF EU Index 2016). La situazione è peggiorata a seguito della crisi pandemica, dell’instabilità geopolitica e delle fluttuazioni finanziarie. Così, la crisi demografica del nostro Paese coincide con i grandi cambiamenti che stanno toccando gli assetti internazionali del capitalismo. Da un lato, il rallentamento della globalizzazione economica e commerciale che aveva caratterizzato gli ultimi decenni. Il ritorno della politica – anche nella forma estrema della guerra – costituisce una novità che sta ridefinendo le strategie nazionali e di conseguenza le catene del valore. Dall’altro lato, la potente accelerazione dei due processi che saranno decisivi nel disegnare quello che accadrà nei prossimi anni: il contrastato, ma inevitabile avanzamento della sostenibilità -rispetto alla quale i giovani sono molto sensibili; e l’entrata nella fase matura della digitalizzazione destinata a imprimere una forte accelerazione del tasso di innovazione e a cambiare i modi di produrre, muoversi, pensare. È l’intero sistema capitalistico a essere in movimento, anche se non sappiamo ancora quali saranno gli equilibri futuri. Si capisce così che se la fase è delicata dappertutto, in Italia la situazione lo è ancora di più. Viene il momento di decidere: dopo aver “galleggiato” negli ultimi trent’anni, c’è il rischio concreto che il nostro Paese entri in una traiettoria di irrilevanza e marginalità. E ciò sarà inevitabile se l’Italia dovesse rivelarsi incapace di affrontare queste grandi sfide del nostro tempo. Per la velocità e la profondità dei cambiamenti in corso, la possibilità stessa di diventare sostenibile e digitale implica necessariamente il protagonismo delle nuove generazioni.
N.B. Le policy qui riportate sono tratte da C. Cioffi e S. Pierattini, Contrastare il divario generazionale attraverso la valutazione delle politiche pubbliche rivolte ai giovani, 25.2.2023, in Amministrazione in Cammino. Rivista elettronica.
AUSTRIA
Dal 2013 è in vigore lo Youth check. Il sistema prevede che tutte le proposte di legge e di regolamento siano oggetto di valutazione per i potenziali impatti sulle nuove generazioni (nello specifico, bambini e giovani under 30). Questo strumento favorisce la partecipazione e il coinvolgimento di organizzazioni giovanili, tra queste il Bundes Jugend Vertretung (Consiglio Nazionale dei giovani). La valutazione degli utenti avviene attraverso uno strumento informatico. A distanza di 5 anni dalla valutazione, si verificano i gap tra risultati attesi e impatti di medio periodo.
GERMANIA
In Germania, per ogni legislatura, il Governo federale presenta al parlamento tedesco un report sulla condizione giovanile e sul profilo di impegno verso le nuove generazioni, insieme a nuovi suggerimenti di intervento. Anche i singoli Laender presentano rapporti sull’infanzia e la gioventù, con focalizzazioni locali.
Questo impegno multilivello consente di raccogliere le esigenze regionali, ma anche di raccordare i diversi interventi in una politica giovanile organica.
Nel corso della 19esima legislatura (2017-2021) è stata adottata per la prima volta una Strategia giovanile unitaria del Governo federale che ha visto l’introduzione dello Jugend Check, ovvero la valutazione ex-ante degli impatti voluti e non voluti delle proposte di legge che investono la vita dei giovani tedeschi dai 12 ai 27 anni. L’implementazione dello stesso è stata affidata al Kompetenzzentrum fuer Jugendcheck, un progetto dell’Istituto di ricerca tedesco per la Pubblica Amministrazione fondato dal Ministero federale per la famiglia, che ha sviluppato uno strumento standardizzato di valutazione ex-ante e un processo di valutazione a due stadi. Lo strumento analizza 6 sfere di vita – famiglia, tempo libero, istruzione/lavoro, ambiente/salute, politica/società, digitale – e 11 aree di azione – opportunità di partecipazione, condizioni e opportunità educative, effetti sulla salute, diritti individuali, impatto materiale, accesso e utilizzo dei media, mobilità, protezione contro la discriminazione e la stigmatizzazione, protezione contro la violenza, autodeterminazione e indipendenza, relazioni sociali.
Il processo vede una fase preliminare e una valutazione centrale. Nella prima fase, si definisce se la legislazione proposta abbia effetti sui giovani o su specifici gruppi di giovani; se così, si passa alla seconda fase. I risultati della valutazione vengono comunicati al governo e ai diversi livelli amministrativi. Ne viene anche predisposta una versione sintetica in un linguaggio youth-friendly – al fine di rendere accessibili i risultati ai giovani ma anche a pubblici più ampi – la cui distribuzione avviene sul sito del Kompetenzzentrum così come attraverso i social media.
Lo youth check non prevede un giudizio “positivo” o “negativo”. La valutazione finale è responsabilità degli attori del processo legislativo.
FRANCIA
In Francia il sistema di valutazione non è in capo ad una istituzione, bensì al Fonds d’Expérimentation pour la Jeunesse – FEJ (Fondo di sperimentazione per la gioventù). Creato per sperimentare innovazioni a favore degli under 25, il Fondo si propone di promuovere il successo scolastico degli studenti, favorire la pari opportunità, promuovere l’integrazione sociale e professionale. I progetti vengono sperimentati e valutati secondo approcci quali- e quantitativi da parte di laboratori universitari, centri di ricerca, enti di valutazione.
Tale valutazione si pone al servizio dei processi decisionali sulla base dell’efficacia dei programmi.
RISORSE
PORTOGALLO
Analisi diffuse sul territorio precedono l’implementazione delle politiche a favore dei giovani. L’ultimo Plano Nacional para a Juventude approvato nel 2022 è stato il risultato di un processo ampio e capillare di ascolto dei giovani e dei principali attori dei mondi giovanili.
Il piano è stato strutturato per aree chiave – Educazione formale e non formale, occupazione, abitazione, salute – e temi chiavi – ambiente e sviluppo sostenibile, governance e partecipazione, uguaglianza e inclusione sociale – oltre che Piani d’azione settoriali (es. Cultura, difesa, sport, giustizia).
Il report definisce gli obiettivi strategici e quelli operativi, collegati a misure la cui responsabilità – spesso condivisa – è rimandata a diverse aree governative. Per ogni misura sono espressi indicatori di attuazione nell’ottica di favorire l’attuazione degli SDGs nel contesto portoghese.
La definizione delle aree strategiche è il risultato di un ampio processo di consultazione che ha coinvolto i giovani e i principali attori del settore giovanile (organizzazioni giovanili, leader di associazioni, tecnici giovanili, mondo accademico e comuni). Sono state 4.000 le risposte a un sondaggio online sui giovani, i risultati di un Forum nazionale dei giovani, interviste di gruppo, gli esiti di un sondaggio tra i comuni, e i contributi delle organizzazioni che compongono il Comitato consultivo per i giovani.
Il coinvolgimento di tutte le aree governative ha permesso di introdurre circa 250 misure.
FINLANDIA
In Finlandia, il “Programma nazionale per il lavoro e le politiche giovanili” (VANUPO), predisposto dal Ministero dell’Educazione e della Cultura, definisce gli obiettivi e le linee guida delle politiche giovanili che il governo finlandese adotta ogni quattro anni. Una commissione parlamentare dedicata si occupa delle questioni giovanili, mentre il Consiglio di Stato per la Gioventù promuove ricerche e studi sui giovani in collaborazione con la Società finlandese di ricerca sui giovani grazie ai quali si definiscono gli indicatori per le nuove politiche giovanili. Esempio di tale applicazione è il programma nazionale 2020-2023 che si basa sui dati forniti da queste analisi. Ulteriori informazioni sulla condizione giovanile e sulla vita dei giovani sono raccolte da un organo di coordinamento della cooperazione intersettoriale a livello locale.
L’ITALIA
Seguendo la strada aperta da alcuni Paesi europei che hanno introdotto la valutazione delle politiche pubbliche a beneficio dei giovani, anche l’Italia ha promosso recentemente il Comitato per la valutazione dell’impatto generazionale delle politiche pubbliche (COVIGE)10 Il Comitato è stato istituito nel 2021. È presieduto dal Ministro per le Politiche Giovanili ed è composto da esponenti del mondo accademico, esperti della materia, rappresentanti del Dipartimento per le politiche giovanili e il Servizio Civile Universale e delle amministrazioni costituenti i principali stakeholder pubblici in materia di politiche giovanili. In considerazione della trasversalità di tali politiche, il COVIGE è coadiuvato da referenti nominati da tutti i Ministeri, in qualità di interlocutori nei profili di comune interesse. Si occupa dell’analisi e della verifica sistematica dell’impatto delle politiche, dei programmi e dei progetti destinati ai giovani..
Quest’ultimo ha elaborato delle linee guida che intendono promuovere la valutazione degli impatti sui giovani 14-35 anni generati dalle politiche nazionali, “offrendo un contributo analitico e metodologico di supporto alle pubbliche amministrazioni.” Le linee guida, inoltre, intendono porre le basi per “la costruzione di una piattaforma di dati indispensabile per la misurazione degli impatti.” L’intenzione è di supportare le PA nell’uso di strumenti e informazioni utili nelle fasi di pianificazione, monitoraggio e valutazione degli impatti.
I contenuti delle Linee guida sono ben descritti nel primo paragrafo “Finalità generali e struttura del documento”: “Il documento presenta dapprima un quadro complessivo delle disposizioni e degli indirizzi internazionali in materia di giovani (paragrafo 2), per poi proporre una tipologia delle politiche pubbliche che consenta di stabilire, ex ante, il potenziale impatto sui giovani, anche dove formalmente non previsto (paragrafo 3); segue una proposta metodologica di aree e indicatori di impatto per favorire una raccolta coordinata e sistematica dei dati, rendendo più agevole il monitoraggio degli andamenti (paragrafo 4) e un set di criteri utili a riconoscere – ed eventualmente a disseminare – politiche giovanili di qualità, proprio dal punto di vista dell’impatto sulle giovani generazioni (paragrafo 5). Il paragrafo 6 dedica un focus al PNRR, alle sue sfide per i giovani e alla complessa attività di monitoraggio e valutazione, che vede nella determinazione degli impatti generazionali uno dei fattori chiave per stabilirne il successo. Infine, il paragrafo conclusivo presenta una serie di proposte operative sul supporto che il COVIGE intende offrire alle Pubbliche Amministrazioni in materia di politiche giovanili (paragrafo 7).”
Sono 4 le aree di impatto prese in considerazione:
Educazione: effetti sul livello di accesso e di efficacia dei percorsi di educazione, formazione e ricerca dei giovani e sul grado di transizione scuola-università.
Lavoro: effetti sul livello di accesso, da parte dei giovani, al lavoro e alle condizioni di sicurezza sociale stabilite dal Pilastro europeo dei diritti sociali; effetti sul livello di auto-impiego o di creazione di impresa da parte dei giovani.
Inclusione: effetti sul livello di inclusione sociale dei giovani e delle famiglie, sul miglioramento della condizione abitativa e sul raggiungimento dei target 8.6 e 8b di Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile nonché per l’ottemperanza delle Raccomandazioni del Semestre europeo.
Benessere: effetti sulla condizione psicologica e fisica dei giovani.
All’interno delle Linee guida il COVIGE propone anche sette requisiti da considerare per un’analisi preventiva degli interventi che le amministrazioni mettano in campo per i giovani:
1. Risorse destinate: le risorse sono commisurate agli obiettivi attesi?
2. Valutazione d’impatto: è definito come verrà valutato l’impatto sugli obiettivi attesi o in generale sui giovani (per esempio, individuando quale target raggiugere a livello intermedio e a regime, entro quanto, su quali indicatori, con quale dettaglio per sottocategorie oppure decidendo che verranno coinvolti vari stakeholders per porre delle domande valutative sulla politica)?
3. Sostenibilità: i metodi e i risultati del progetto sono in grado di continuare dopo la conclusione del finanziamento, raggiungendo, inoltre, nuovi obiettivi (capacità di avvio di processi che poi non si concludono con il finanziamento iniziale)?
4. Innovazione: vengono favorite nuove forme di relazione fra soggetti pubblici e privati idonee a soddisfare nuovi bisogni sociali emergenti o a dare una risposta innovativa a vecchi bisogni?
5. Coinvolgimento e partecipazione: è stato incluso nella fase di definizione e programmazione del progetto il punto di vista dei potenziali beneficiari?
6. Comunicazione: è previsto un piano di comunicazione volto ad informare in modo adeguato i potenziali beneficiari?
7. Trasparenza: è garantita la trasparenza di tutto il processo realizzativo con documentazione dei vari passaggi?
Oltre a questi sette criteri si sottolinea la possibilità che una politica possa essere replicata anche in altri contesti.
Su un tema-chiave, che è quello del lavoro, le Linee guida sottolineano l’importanza di favorire pari opportunità di genere e generazionali che sono diventati requisiti da garantire nelle offerte che rispondono ai bandi di gara e, in particolare, la normativa prevede che “l’assunzione dell’obbligo di assicurare, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota pari ad almeno il 30% delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione delle attività a esso connesse o strumentali, sia all’occupazione giovanile sia a quella femminile”. Le stazioni appaltanti possono escludere l’inserimento nei bandi di gara o stabilire una quota inferiore dandone però adeguata e specifica motivazione.
Infine, si prevede che i bandi contengano ulteriori misure premiali che prevedano l’assegnazione di un punteggio aggiuntivo.
Le Linee guida sono completata da due Allegati. Il primo indica, per ogni area di impatto, tre diversi indicatori: quelli del BES, quelli SDGs e Youth EUROSTAT Dashboard. Il secondo propone un quadro molto interessante delle politiche pubbliche e aree di impatto sui giovani indicando, per ogni politica, i riferimenti normativi, i contenuti, le PA competenti e le aree di impatto.
Il Comune di Parma, che prevede uno specifico assessorato dedicato alle politiche giovanili, ha recentemente avviato la prima sperimentazione a livello municipale in Italia dello youth test grazie al supporto di alcuni ricercatori della LUISS e della Fondazione Bruno Visentini. Il percorso prevede l’analisi del Documento Unico di programmazione (DUP) del Comune alla luce di una check list di indicatori selezionati che consente di catalogare le diverse iniziative rispetto al loro impatto sulle nuove generazioni. Vengono così individuate politiche generazionali, ovvero policy che mirano ad avere un impatto diretto sulla popolazione giovanile; politiche non generazionali, che non prevedono alcun impatto; e, infine, politiche potenzialmente generazionali, cioè quelle policy non immediatamente dedicate alla popolazione giovanile ma che tuttavia andranno a generare impatti positivi su quella fascia di popolazione.
La sperimentazione di Parma ha previsto una doppia analisi del DUP: la prima è fatta dai referenti comunali; la seconda è realizzata da un gruppo selezionato di giovani studenti universitari della città.
Obiettivo finale del Comune di Parma è l’estensione di questa classificazione a tutti gli atti comunali secondo una bollinatura che evidenzierà l’attenzione di ogni iniziativa agli impatti sulle nuove generazioni. Ci si attende che tale processo porti a sensibilizzare tutti gli operatori comunali – dunque, tanto i profili politici, quanto i funzionari – a ragionare in una logica intergenerazionale.
L’esperienza ha già prodotto interessanti effetti. Da un lato, ha consentito al Comune di raccogliere da parte dei giovani coinvolti nella valutazione preziosi spunti circa lo sviluppo in chiave generazionale delle policy che non lo erano. Dall’altro, ha alimentato a livello cittadino una più generale partecipazione dei giovani a nuove proposte da parte del Comune, così come la richiesta di un loro crescente coinvolgimento in nuovi percorsi e attività da parte di altri attori territoriali.
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Nessuno è in grado di dire come il mondo evolverà nei prossimi anni. Quello che però sappiamo è che nel nuovo mondo che si va ridisegnando serviranno conoscenze, attitudini, approcci molto diversi rispetto a solo qualche anno fa. Ecco perché mettere mano alle politiche sulla popolazione giovanile significa cominciare a scrivere la storia del futuro dell’Italia. È molto difficile per un Paese squilibrato sul lato degli anziani, come è il nostro, riuscire ad affrontare la nuova fase che si va delineando. Ci vuole una nuova linfa vitale per attraversare con successo una transizione così impegnativa come quella che stiamo accostando. Per tutte queste ragioni la questione giovanile costituisce oggi uno snodo cruciale per lo sviluppo del Paese, che, comprendendo anche la questione femminile, deve diventare la prospettiva fondamentale da cui declinare l’insieme delle politiche economiche e sociali dei prossimi anni. Si tratta, cioè, di riprendere e rendere strutturale lo spunto che l’Unione Europea aveva lanciato nel mezzo della pandemia e che fa da cornice al PNRR. Il Next Generation EU deve diventare Futura Generazione Italiana senza la quale è difficile per il Paese riuscire a guardare avanti.
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Dato il quadro, cosa fare, allora? Da dove iniziare? Se si guarda ai dati, è possibile arrivare alla conclusione che, per affrontare le questioni in gioco, non sia sufficiente un intervento ordinario. Non c’è “spinta gentile” che possa sollecitare quel cambiamento di cui pure abbiamo bisogno. Piccoli aggiustamenti sono preziosi, ma non bastano a modificare una situazione che ha ormai raggiunto un livello di criticità assai elevato. Serve un’azione diversa: forte, decisa, significativa, strutturale. Un momento straordinario di discontinuità che permetta al Paese di girare davvero pagina: un vero e proprio patto tra le generazioni. Nell’affermare questo, non possiamo dimenticare che tra giovani e anziani esiste in questo momento, in Italia, un molteplice squilibrio: numerico, economico, di diritti. La generazione degli ultracinquantenni – più numerosa, ma anche mediamente più agiata e più sicura – deve decidere come posizionarsi in questo complesso campo di gioco: se stare sulla difensiva – con inevitabili conseguenze sulle evoluzioni del Paese – oppure se avere il coraggio di aprirsi ad una nuova alleanza con chi è più giovane, salvando sé stessa e il futuro dell’Italia. La convergenza dei fattori qui richiamati (questione demografica, questione femminile, cambiamento di fase storica, razionalità della scelta migratoria) porta alla conclusione che l’Italia ha bisogno di un patto generazionale che le permetta di definire una cornice di riferimento comune per realizzare quel salto che la situazione richiede. Per invertire i trend che abbiamo raccontato non basta la somma di tanti interventi più o meno corretti. Serve, piuttosto, un punto di leva che accompagni il Paese al di là delle dinamiche distorte che lo condannano all’immobilismo. L’idea di “patto” aiuta a dare conto della forza intrinseca che dovrebbe avere l’iniziativa: non si tratta di creare nuovi tavoli di lavoro o di avviare azioni di riforma dall’alto. “Patto” rimanda ad un “accordare” – come avviene per gli strumenti che suonano assieme in un orchestra – e, dunque, ad una azione orizzontale ed integrale; così come a un “legare”, “fermare”, ovvero ad un’azione che genera qualcosa di saldo e durevole. Non ultimo, l’etimo del termine si collega al concetto di “pace”, e questa prospettiva appare particolarmente coerente con l’esigenza di un Paese attraverso da crescenti gap generazionali che richiedono forme inedite di riconciliazione.
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Affinché l’idea di un patto generazionale non resti solo uno slogan, affascinante ma sostanzialmente vuoto, servono coraggio e concretezza. Come potrebbe declinarsi una nuova alleanza generazionale? Indichiamo qui sette piste di azione concrete su incominciare a lavorare:
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In definitiva, il secondo Rapporto Italia Generativa fornisce indicazioni chiare e univoche: la questione giovanile, oggi, in Italia, costituisce una priorità. Se, arrivato fino a qui, con un blocco demografico evidente, nel momento in cui gli assetti capitalistici internazionali stanno cambiando, il nostro Paese non riesce a rimettere in moto le energie vitali dei giovani, il destino che lo aspetta – che ci aspetta – non può che essere il declino. Non c’è tempo da perdere, né incertezze da assecondare. Occorre muoversi con decisione e convinzione nell’unica direzione sensata. La mole dei dati dovrebbe convincere tutti, ognuno per la sua parte e responsabilità, ad intraprendere senza ulteriore ritardo le azioni necessarie affinché l’Italia possa ritornare ad essere un Paese in cui poter nascere, crescere, lavorare, abitare, generare.
RISORSE
Consiglio europeo (2022). Conclusioni del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio – Promuovere la dimensione intergenerazionale nel settore della gioventù per rafforzare il dialogo e la coesione sociale (2022/C 495/03). Publications Office: Bruxelles.
Comitato economico e sociale europeo (2022). Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla valutazione d’impatto dell’UE dal punto di vista dei giovani (parere d’iniziativa 2022/C 486/07). Publications Office: Bruxelles.
Commissione europea, Direzione generale per l’Occupazione, gli affari sociali e l’inclusione, Ghailani, D., Peña-Casas, R., Coster, S. (2022). Access to social protection for young people: an analysis of policies in 35 countries, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea. https://data.europa.eu/doi/10.2767/45249
Commissione europea, Direzione generale della Comunicazione, Direzione generale dell’Istruzione, della gioventù, dello sport e della cultura, (2022). Youth and democracy in the European Year of Youth: report. Lussemburgo: Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea. https://data.europa.eu/doi/10.2766/368099
European Youth Forum e CNAJEP (2016). What happens at the european level. Should not stay at the European level – how the structured dialogue has influenced national youth policies across the EU. https://euagenda.eu/publications/what-happens-at-european-level-should-not-stay-at-european-level
Gretschel, A. e Laine S., (2014). Youth Participation Good Practices in Different Forms of Regional and Local Democracy. Youth Participation Good Practices in Different Forms of Regional and Local Democracy.
Consiglio Europeo (2016). Dichiarazione di Bratislava, 16 settembre 2016, Bruxelles: Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea.
Bartolucci, L. (2022). Le generazioni future (con la tutela dell’ambiente) entrano “espressamente” in Costituzione, Forum di Quaderni Istituzionali, 2, 2022 ISSN 2281-2113
Cioffi, C. (2023). Le misure generazionali riservate ai giovani e quelle potenzialmente nel PNRR in Fondazione Bruno Visentin (a cura di), Il Divario generazionale attraverso la pandemia, la ripresa e la resilienza, IV Rapporto
Cioffi C. e Pierattini S. (2023). Contrastare il divario generazionale attraverso la valutazione delle politiche pubbliche rivolte ai giovani, 25.2.2023, in Amministrazione in Cammino. Rivista elettronica.
Directorate-General for Employment, Social Affairs and Inclusion, UE, Fondazione Giacomo Brodolini Srl SB (FGB) and European Centre for Social Welfare Policy and Research. Study on Intergenerational Fairness. Final Report, VC-2019-0509 2021,
Fondazione Bruno Visentini (2022) Rapporto 2021: il divario generazionale tra pandemia, ripresa e resilienza, Luiss University Press, Roma, 2022.
Intergenerational Foundation (2016). European Intergenerational Fairness Index: A crisis for the young, IF. OECD (2018). Youth Stocktaking Report – Engaging and empowering youth in OECD countries – How to bridge the “governance gap”. OECD Publishing: Paris.
OECD (2020), Governance for Youth, Trust and Intergenerational Justice: Fit for All Generations?, OECD Public Governance Reviews, OECD Publishing, Paris, https://doi.org/10.1787/c3e5cb8a-en.