FONDAZIONE CASTELLO DI PADERNELLO

  “Custodire la bellezza per dare forma ai sogni”

Quando il valore sociale genera valore economico

L’Italia conta molti territori che per ragioni storiche e/o geografiche sono rimasti marginali ai processi di sviluppo rispetto ad altre aree più favorite. Sono numerose le proposte di policy top-down per un loro rilancio, ma non sempre i risultati raggiunti sono risultati proporzionali all’investimento. Il caso qui presentato racconta, invece, un’iniziativa bottom-up che, a partire dalla riqualificazione di un bene storico comune, ha avviato un percorso di rilancio territoriale di indubbio successo.

PROFILO DELL’AZIENDA

FONDAZIONE CASTELLO DI PADERNELLO ETS

IN DIALOGO CON

FOCUS DELL’INTERVISTA INNOVAZIONE DI POLICY

Sviluppo locale

IN DIALOGO CON LA FONDAZIONE CASTELLO DI PADERNELLO ETS

L’intrapresa è già una novità: un’operazione pubblico-privato

Domenico Pedroni

L’operazione nasce sostanzialmente come recupero di un castello medioevale abbandonato da oltre 40 anni. La riqualificazione di luoghi culturali può essere fatta in molti modi. Noi scegliamo di muoverci con un recupero diverso, che prevede l’acquisto del bene. 

Operazione irrealistica se pensata singolarmente, per un piccolo Comune con poco più di 5.000 abitanti come è Borgo San Giacomo,(BS) dove si trova il castello! Allora noi proponiamo un’operazione pubblico-privato. È la prima novità: il pubblico e il privato lavorano insieme.

In origine c’è un “noi”

Chi è questo “noi di cui parlo?  L’iniziativa nasce dall’Associazione Amici del castello del Borgo che dagli anni ‘90 riuniva alcune persone della zona. C’era un giornalista, uno scenografo, alcuni appassionati che ancora oggi collaborano con noi! Persone che avevano una bella armonia rispetto al territorio e al paesaggio, perché è solo la bellezza che consente di fare tutto. Noi abbiamo dimostrato che la bellezza è un valore patrimoniale, non solo estetico. La spinta nasce da qui. Acquistiamo il castello come bene indiviso: 51% di proprietà del Comune di Borgo San Giacomo; 49% da una società di privati, una S.r.l. nata su mia iniziativa, che vedeva una nuova forma di mecenatismo a sostegno dell’iniziativa del Comune. 

Lo strumento: la Fondazione di partecipazione

Fatta l’acquisizione, compiamo il primo passaggio: i due proprietari, il pubblico e il privato, concedono in comodato il bene “castello” ad una nuova soggettività che nel frattempo avevamo già incominciato a costruire: una Fondazione di partecipazione.

Parliamo di un contratto di comodato ventennale, dunque un lungo periodo: questo è un punto fondamentale se vogliamo poter fare le cose.

Intanto costruiamo la Fondazione di partecipazione, una Fondazione Ente pubblico, ma di diritto  privato. Anche in questo caso selezioniamo undici soci fondatori, non solo il Comune, per evitare il rischio di possibili cambi di amministrazione che avrebbero potuto bloccare la direzione intrapresa. Tra i primi soci, cinque sono banche di credito cooperativo, dunque banche di territorio; c’è una società pubblica di servizi che opera su 70 comuni dell’area (anche qui pubblico/privato); la Srl che aveva acquistato il castello; il Comune di Borgo San Giacomo, e infine tre privati che entrano singolarmente. Ciò fa capire la visione che ha sostenuto il nostro fare.

Visione e struttura

Il primo obiettivo è dunque strutturare bene l’organizzazione che possa permetterci di realizzare obiettivi di medio e lungo periodo, perché quello era l’orizzonte temporale che ci serviva per raggiungere i nostri scopi. La Fondazione ha un consiglio di amministrazione, una sua direzione artistica, i suoi volontari grazie ai quali partono le prime attività. 

Questo tipo di approccio mostra cosa possono essere gli enti di Terzo settore oggi.

Il primo intervento

La prima iniziativa è un intervento di recupero della parte crollata del castello. Costo 375.000 euro. Come lo facciamo? Come tutte le imprese: accendendo un mutuo ventennale. Ripeto: siamo una fondazione, abbiamo una visibilità pubblica, ma siamo sostanzialmente un’impresa. Abbiamo la velocità del privato, senza scordarci che dobbiamo necessariamente avere anche un pensiero. Questa capacità di tenere insieme i due piani nasce dal mondo bancario dal quale provengo.

Nove progetti d’area, nove responsabili, nove partner di progetto disponibili a sostenere le diverse linee di proposta: il teatro, il cinema, il progetto culturale, le mostre, la gastronomia… Tra i nove progetti ci sarà quello che corre di più e quello di meno, però noi abbiamo intanto la possibilità di proseguire.

Così partiamo con questa idea di riuscire a portare avanti i progetti gestendoli a stadi: non faccio un restauro che mi costa dieci milioni di euro, poi non li trovo e perciò mi fermo. No, troviamoli pezzo per pezzo, identificando nel castello diversi luoghi dedicati: in questa parte ci saranno le mostre, lì i convegni; ogni luogo del castello avrà i suoi utilizzi, ma sempre in una prospettiva multifunzionale. Insomma, l’idea è chiara e il progetto ben identificato.

Il castello come bene culturale di comunità

Altra cosa importante: diversifichiamo quali sono le nostre possibilità di entrate. 

I fondatori li abbiamo scelti perché ogni anno garantiscono un sostegno. Il Comune ci offre un piccolo contributo, così come le BCC locali. Ma non basta. Così decidiamo di partire con le visite guidate al castello.

Abbiamo recuperato la documentazione dei primi mesi di avvio. Partiamo il 19.3.2006. Non dimentichiamo che siamo nati come Fondazione nel dicembre del 2005. In 3 mesi avevamo già fatto i lavori e predisposto le visite. Ho visto qualche giorno fa le fotografie della prima apertura. Ho pianto! C’era una folla sterminata di un chilometro che aspettava fuori dal castello per entrare a vedere questo luogo che sembrava irrecuperabile!

Noi abbiamo investito su un bene facendo però capire a tutti che era un bene della comunità! Le cose funzionano se noi riusciamo a dire: “Noi facciamo un lavoro che va a valorizzare il lavoro della comunità! È un bene culturale, ma un bene comune!

Secondo me, questo è stato percepito e i frutti li ha portati nel tempo.

Definisco un obiettivo. Avvio l’operazione. La chiudo. Vado avanti

I primi cinque anni li abbiamo destinati ad azioni di restauro grazie ad alcuni bandi. Tra i principali quelli di Fondazione Cariplo, ma anche della Fondazione di Comunità bresciana, in parte dalla Provincia di Brescia. Pochissimo a livello statale. Più consistente l’apporto dai privati e da enti di natura privata.

Il movimento è chiaro e focalizzato: passo dopo passo, anno dopo anno, definisco un obiettivo, avvio l’operazione; la chiudo; vado avanti.

Rispetto alle risorse, oltre al mutuo, operazione correttissima, ci siamo detti: “Ci sono tantissime persone che condividono il progetto. E se lanciassimo una raccolta fondi?

Avevamo come obiettivo un secondo restauro. Costo previsto 164.000 euro. Bene, in un anno grazie al contributo delle aziende della zona che sono diventate soci benefattori, abbiamo raggiunto questo importo e pagato la seconda parte dell’intervento.

Anche questo è sorprendente: come in una zona rurale le persone hanno contribuito alla sistemazione di un bene come un castello!

Il terzo contributo, fondamentale, arriva dal primo bando di Fondazione Cariplo sulla creazione di sistemi culturali. Abbiamo ricevuto 500.000 euro a fondo perduto e questo ci ha sdoganato a livello regionale. Queste sono le principali operazione fatte dal 2005 al 2010.

L’ingresso della nuova generazione

Nel tempo, intanto, abbiamo fatto maturare con il Cda un’idea: “Va bene il braccio del volontariato, finora ce la siamo un po’ cavata, ma se vogliamo proseguire dobbiamo avere una struttura, una governance della Fondazione con l’inserimento di persone giovani.” 

Così abbiamo incominciato con una persona dipendente, poi due, tre, quattro. Oggi sono cinque le persone che lavorano in Fondazione, giovani in gamba, che condividono una visione e una motivazione forte.

Dal 2010 al 2015: conclusione del restauro del castello

Continuiamo a fare delle operazioni di restauro, trovando sempre i fondi necessari. Abbiamo sempre avuto un piano economico strutturato, ma ora lo perfezioniamo. Decidiamo di tenere la prima nota di tutte le operazioni in entrata ed in uscita. Questo consente a chi governa la parte amministrativa di avere tutto sotto controllo. Molti imprenditori pensano: “Andiamo dal commercialista e vediamo tra 3 mesi, 6 mesi. No, perché magari è troppo tardi! Sembra un’idea semplice ma funziona. Abbiamo sempre avuto piccoli margini di gestione, come sapete noi non facciamo utili, ma gli avanzi di gestione vanno ad alimentare quel fondo di dotazione che è una premessa fondamentale della Fondazione di partecipazione. 

Ci piace molto sapere di avere una buona gestione. E se abbiamo una buona gestione, le cose funzionano. 

Ci piace essere visti anche come impresa

Noi siamo un Ente di Terzo settore, ma ci teniamo ad essere visti anche come un’impresa. Noi di fatto siamo un’impresa culturale, “un’impresa di relazioni”, attorno alla quale costruiamo le nostre attività.

Costruiamo relazioni e facciamo eventi, mostre, visite guidate!   Se un 20% di risorse arriva dai bandi, un 15% ce le danno le visite guidate. Pensate che nel 2024 abbiamo raggiunto le 15.000 persone paganti. Si visita il castello a 7,50 euro – un prezzo bassissimo – ma questo vuol dire che in un anno abbiamo avuto 100.000 euro di ingressi che ci permettono di pagare il personale utile per gestire tantissime altre cose. È come aver messo a gestione il core business della Fondazione! Il core business copre le spese del personale che essenzialmente sono le maggiori spese a carico.

A copertura degli interventi straordinari, come il restauro, cerchiamo entrate straordinarie, bandi, partenariati.

Dal 2015 al 2020: verso il borgo

Arriviamo al 2015 e ci poniamo questo grosso interrogativo: Abbiamo sistemato il castello e funziona. Ma le cascine che abbiamo qui intorno? Se vogliamo crescere, dobbiamo creare un ragionamento diverso che comprenda anche lo sviluppo del borgo”. Cominciamo allora a dire: “Il castello non è più nel castello, ma è fuori”. E dunque lavoriamo fuori, spingendo il restauro delle cascine nel quadro del rinnovamento del borgo.

Anche qui bisogna trovare una chiave e troviamo nell’idea di far nascere un borgo artigiano attraverso una serie di collaborazioni. La prima con l’Associazioni artigiani di Brescia e Provincia, poi la Camera di Commercio di Brescia, i diciotto centri professionali della provincia; il gruppo Foppa-Lonati che si occupa dell’apprendimento dei ragazzi.  Il nuovo progetto “Verso il Borgo” ci permette di ampliare il nostro partenariato, che comunque è fonte di contributi e di aiuti concreti.

Pian piano spingiamo i proprietari a sistemare una prima cascina. Sulla Cascina Bassa lanciamo un’altra operazione: su 2/3 investono le imprese private, il profit; l’altro terzo resta a noi, no profit. Lo abbiamo sempre detto: da tempo abbiamo superato il concetto del privato e del pubblico, del profit e no profit. Esiste una buona gestione, esiste una visione, esiste un progetto! Siamo sostanzialmente una sorta di cooperativa di comunità, dove tutti lavorano insieme e se il progetto è win-win, questo lo abbiamo provato, le cose funzionano.

Far maturare l’accordo

Per questo alcune tappe in Cda talvolta le ho volutamente rallentate, perché non tutti erano d’accordo. Capita il disaccordo, e questo se ci si irrigidisce diventa un ostacolo. Io dico: “Lasciamo maturare l’idea!” Sulla cascina non tutti avevano una visione. Dicevano: Ma cosa fai con 1/3?. Io rispondevo: “Faccio dei laboratori artigiani; faccio una scuola per proporre dei corsi; faccio un piccolo albergo diffuso, 45 camere in cui posso ospitare le persone”. Perché il concetto è: se ci allarghiamo, il progetto prosegue. E lo abbiamo visto. Se noi fossimo rimasti ristretti al castello, noi oggi saremmo lì e faremmo fatica.

Abbiamo spinto quando eravamo tutti d’accordo. Poi le persone ci ragionano. Così siamo andati avanti con l’acquisto di 1/3. Lo facciamo prima acquistare dall’Immobiliare Sociale Bresciana, che viene dal mondo vicino alle ACLI, e poi la riacquistiamo direttamente come Fondazione allo stesso prezzo di 270.000 euro, somma tutta pervenuta da una mirata raccolta fondi dai soci fondatori, dai soci sostenitori ed in generale da privati ed aziende.  

Poi vinciamo il grande “Bando Emblematico” di Fondazione Cariplo quello che dà un milione di euro, per capirci. Così possiamo avviare il restauro strutturale  della nostra parte di cascina ed il percorso che porta alla nascita dell’hub che fa la formazione, e all’albergo diffuso, che creerà le botteghe – perché questi piccoli borghi possono proseguire se hanno anche dei servizi. Lo spopolamento è già un rischio altissimo, se non hai servizi! 

Selezionare i compagni di viaggio e orientarli verso il nuovo

In questo spirito, nel frattempo abbiamo spinto i privati a fare qualcosa di nuovo! Fai un agri-birrificio! Così è una agricoltura diversa. Questo è molto piaciuto. Parte il birrificio. Parte un’agri-pizzeria con l’utilizzo di antichi grani. Facciamo aprire un’enoteca di soli vini bresciani, non per essere ristretti, ma per valorizzare il territorio. 

Noi offriamo un po’ di impostazione e loro sono contentissimi! Oggi la Cascina Bassa è un posto che funziona benissimo: ha frequentatori, l’agri-pizzeria è diventata un modello ed è stata replicata in altri posti con ottimi risultati; l’agri-birrificio lavora…

Ma va detto: i privati li abbiamo scelti! Non è stato un caso. C’erano già due ristoranti a Padernello, noi gli abbiamo detto: “Guarda che questa è l’operazione per te”. Perché abbiamo fatto questo? Se fosse entrata un’azienda che da lì a qualche mese avesse chiuso, l’operazione avrebbe messo in crisi anche noi!

Il rapporto con le istituzioni locali

Nel frattempo, continuiamo la facilitazione verso il Comune. Il nostro Comune ha speso 730.000 euro per comprare un castello decaduto e alla seconda votazione vede la giunta perdere le elezioni perché molti non hanno capito! Come altrove, prevale il “Ci sono un sacco di buche da coprire!”, confondendo le partite correnti con la spesa patrimoniale. 

Oggi il Comune non vuole vendere il castello, ma se lo volesse fare, il suo 51% acquistato a 730.000 euro varrebbe circa 4 milioni! Capite bene che l’operazione è riuscita. Se la osserviamo dal punto di vista dell’investimento, ha dato una resa eccezionale, oltre ad avere valorizzato il territorio ed avere creato lavoro! Perché nel piccolo comune di Padernello di 70 abitanti, oggi ci lavorano 140 persone. Vorrei vedere un altro paese in questa situazione! 

L’importanza delle partnership

Un grande marchio che abbiamo utilizzato fin dall’inizio ed è cresciuto nel tempo è Slow Food. Oggi la condotta si chiama TerreAcqueBresciane perché contiene la Bassa bresciana, Brescia e il Garda e ha sede a Padernello. Potrebbero fare il mercato sul lago di Garda, invece resta a Padernello perché questa sede è esemplare.

Il Mercato della Terra di Slow Food è nato inizialmente come mercato nella corte. Ci siamo detti: Il paese è agricolo, dobbiamo tenere molto stretto il legame con la terra”. Il mercato si è rivelato un attrattore potentissimo. Prima del Covid ci portava 1.500/2.000 persone al mese. 

Oggi il mercato è diventato la Comunità della Terra di Padernello, una iniziativa innovativa in Slow Food e noi ne siamo una parte. Anche agganciarsi a grandi marchi è importante! Certo, ci vuole un senso logico, non andiamo ad inventare cose che non esistono.

I prossimi passi aperti al territorio

Dovremo fare qualche manutenzione straordinaria, ma l’operazione castello può dirsi ormai chiusa. Quella che invece è grandemente aperta, è l’operazione sul territorio, a partire dal borgo artigiano. Oggi, qui si propongono corsi di pelletteria, di norcineria, di panificazione! 

E pensare al territorio significa lavorare con i Comuni. C’era una piccola associazione abbastanza ferma di sette piccoli comuni, i Comuni delle Terre Basse.  Però altri sindaci vogliono partecipare e così sono diventati quindici. Parliamo di un bacino di 60.000 persone circa. Qui l’opinione è di far decollare l’idea di turismo esperienziale e valoriale che vada a scoprire tutti quei luoghi che abbiamo già mappati grazie alle risorse del Bando Emblematico: chiese, palazzi, una disciplina, punti naturalistici… Abbiamo già iniziato a creare dei percorsi: è il futuro!

Gli ostacoli

Quali sono gli ostacoli? Qualche volta sono dalla parte pubblica perché è lentissima. Quando devi radunare quindici sindaci non riesci a trovare il giorno che vada bene per tutti. Allora abbiamo proposto: Fate un comitato esecutivo e si viaggia più veloci!”. 

Nel frattempo, abbiamo suggerito l’attivazione di un GAL, un gruppo di azione locale, sostenuto da bandi europei. Capite, se ho una zona di 60.000 persone tutte nella bassa pianura, con le stesse problematiche di disoccupazione e di spopolamento dove l’obiettivo comune è valorizzare il territorio, allora noi possiamo muoverci insieme.

2030 Laboratorio Padernello

Di fatto abbiamo sempre lavorato con piani strategici pluriennali. La visione sul futuro aiuta. Se riesci a vedere le cose lontane, riesci a pianificare e a mantenere le scadenze: so che devo arrivare laggiù, per cui nel 2025 devo aver fatto questo, nel 2027 quell’altro… Porsi un obiettivo ci aiuta a raggiungerlo.

Nel 2023 – poiché i mutui stavano finendo, e come facciamo a restare senza mutui? – abbiamo acquistato la scuderia, di fronte al castello e i 4 ettari di terreno al suo interno, con l’idea di realizzare un parco e di avere un ingresso dietro al castello, e nella scuderia far partire un info-point per tutti i 15 Comuni da dove poi possono partire i diversi itinerari turistici. 

Come ragiona la Fondazione dovrebbe essere chiaro: di fatto abbiamo sempre lavorato costruendo relazioni, ampliando il progetto, trovando nuovi modi e metodi per dare senso e continuità ai programmi culturali, turistici, paesaggistici. La visione sul futuro aiuta. 

Il prossimo passo è il Laboratorio Padernello 2030.

Un bilancio, ad oggi

Il comodato d’uso sul castello, passato da ventennale a trentennale, scadrà nel 2036, ma noi nel frattempo abbiamo anche riacquistato le quote del castello. Quindi come Fondazione deteniamo anche il 32% delle quote di proprietà.  Su Cascina Bassa abbiamo 1/3 di proprietà. Oggi io, se vado a vedere il bilancio, la Fondazione è super patrimonializzata: oggi ha, tra virgolette, dai 3 ai 4 milioni di euro di patrimonio. Se devo andare a fare un’operazione di mutuo le banche non mi dicono “Però…”

Cosa abbiamo fatto in questi anni? Direi che anzitutto abbiamo creato in giro un bel senso di comunità. Poi che abbiamo costruito credibilità, perché quello che diciamo abbiamo dimostrato di realizzarlo. Infine, che, probabilmente, questo progetto appassiona tante persone; è entrato nel cuore della gente e per questo la raccolta fondi sta dando risultati straordinari.

Ci sono questioni aperte? Direi due. La prima è la continuità. Io ho fatto i miei dieci anni di presidenza e nel prossimo Consiglio Direttivo mi piacerebbe che ci fosse un altro Presidente per i prossimi anni. La seconda – qui mi ripeto – è l’allargamento sul territorio. Ma il progetto è impostato bene, ha la possibilità di funzionare e apre nuovi percorsi.

L’approccio è ugualmente chiaro: uscire dal castello e creare rete. Le relazioni valgono tantissimo, sono vitali. Attraverso queste relazioni costruisci rapporti duraturi che ti permettono di fare cose importanti. È quello che stiamo insegnando anche alle giovani generazioni. 

Custodire

Quando siamo partiti pensavamo di doverci occupare del castello, ma dopo tre mesi avevamo già capito che il castello era solo uno strumento per promuovere il territorio e per vivere noi bene!

In questo ultimo periodo sto coltivando un pensiero nella mia testa, che è l’idea di custodire. Custodire è una grande esperienza di gioia, non di fatica. Continuo a ricordarlo alle ragazze che lavorano con noi: “Custodire la bellezza è la possibilità di dare forma ai sogni! Significa contenere le fragilità, colmare i vuoti!”. E pian piano vedo che anche le ragazze incominciano a crescere su questo e io ne sono molto contento. Non conta chi è il proprietario, conta chi è custode.

In questa prospettiva, abbiamo fatto recentemente uno studio di fattibilità per creare una comunità energetica.  Dove sarà possibile – perché il paesino è tutto vincolato – vorremmo mettere un fotovoltaico che alimenti il castello, i privati…

È anche questa una modalità per tenere insieme le persone e custodire la terra.