In questo capitolo:
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Numero di imprese
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Numero medio di addetti per impresa, per divisione NACE
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Fatturato netto, per divisione NACE
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Fatturato netto per addetto, per divisione NACE
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Valore aggiunto, per divisione NACE
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Valore aggiunto per ore lavorate dai dipendenti, per divisione NACE
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Costo medio del personale PER DIPENDENTE, per divisione NACE
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Oneri sociali a carico del datore di lavoro, per divisione NACE
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Tasso di natalità delle imprese, per divisione NACE
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Tasso di mortalità, per divisione NACE
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Churn rate delle imprese, per divisione NACE
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Imprese sopravvissute a 3 anni dalla loro costituzione, per divisione NACE
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Quota delle imprese sopravvissute a 3 anni dalla loro costituzione per divisione NACE
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Tasso di crescita occupazionale delle imprese sopravvissute a 3 anni, per divisione NACE
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Dimensione delle nuove imprese, numero medio per divisione NACE
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Quota occupazionale delle imprese nate, per divisione NACE
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Imprese ad alta crescita occupazionale, per divisione NACE
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Quota di imprese ad alta crescita occupazionale, per divisione NACE
Approfondimenti Italia
IT 1. Iscrizioni di imprese
IT 2. Tasso di natalità delle imprese, per provincia
IT 3. Tasso di mortalità delle imprese, per provincia
IT 4. Churn rate delle imprese, per provincia 2023
IT 5. Quota di imprese registrate che hanno non più di tre anni (dall’anno di costituzione) sul totale delle imprese registrate, per provincia
IT 6. Densità d’impresa, per provincia
Numero di imprese
Nel 2023, l’Italia è il secondo Paese europeo per numero totale di imprese attive (4.5 milioni circa) dietro alla Francia (5 milioni circa). Osservando il dato relativo alla quantità di imprese attive disaggregato per macrosettore economico (identificato dalla classificazione statistica delle attività economiche – NACE Rev.2), l’Italia si colloca tra le prime tre posizioni in quasi tutti i settori.
Nel 2023, l’Italia è il secondo Paese europeo per numero totale di imprese attive (4.5 milioni circa) dietro alla Francia (5 milioni circa). Osservando il dato relativo alla quantità di imprese attive disaggregato per macrosettore economico (identificato dalla classificazione statistica delle attività economiche – NACE Rev.2), l’Italia si colloca tra le prime tre posizioni in quasi tutti i settori.
In particolare, l’Italia si colloca al primo posto:
- per numero di imprese attive nel settore manifatturiero (339.881 unità) con uno scarto molto netto rispetto ai Paesi che occupano la seconda e la terza posizione (Francia – 258.300 unità e Polonia – 241.200 unità);
- per numero di imprese attive nel settore del commercio (circa 991.600 unità) con un divario di quasi 270.000 mila unità rispetto a Francia (secondo posto), di quasi 300.000 unità rispetto alla Spagna (terza) e di quasi 460.000 unità rispetto alla Germania (quarta con 534.000 unità);
- per numero di imprese attive nel settore alberghiero e della ristorazione (317.500 unità) poco al di sopra di Francia (308.700 unità) e Spagna (298.000 unità);
- per numero di imprese in attività professionali, scientifiche e tecniche (circa 864.800 unità) con un forte divario rispetto alla Francia in seconda posizione (689.100 unità) e ancora più marcato rispetto alla Germania in terza posizione (479.200 unità).
L’Italia si colloca invece fuori dal “podio”:
- per numero di imprese attive nel settore della fornitura di energia elettrica, gas, vapore, aria condizionata (8.822 unità), oltre cinque volte in meno rispetto alla Francia (42.549 unità) e oltre nove volte in meno rispetto alla Germania in prima posizione (74.346);
- per numero di imprese attive nel settore dei trasporti e magazzinaggio, dove si colloca al quarto posto (115.000 unità circa), dietro Spagna (227.800 unità), Francia (181.500 unità) e Polonia (170.000 unità);
- per numero di imprese attive nel settore dell’informazione e della comunicazione, al quinto posto (115.300 unità), dietro Polonia (217.500 unità), Francia (209.300 unità), Germania (135.900 unità) e Paesi Bassi (126.500 unità);
- per numero di imprese attive nel settore delle attività amministrative e di supporto (169.000 unità);
- per numero di imprese attive nel settore dell’istruzione e dell’educazione, al settimo posto (43.400 unità), quasi un quinto delle imprese attive nello stesso settore in Francia (al primo posto con circa 214.000 unità) e un terzo delle stesse imprese nei Paesi Bassi (al secondo posto con 133.600 unità) e in Spagna (al terzo posto con 122.700 unità);
- per numero di imprese attive nel settore delle attività artistiche, dell’intrattenimento e del divertimento (quinta posto con 82.200 unità), meno della metà rispetto al numero di imprese attive nello stesso settore in Francia (prima con 175.900 unità) e circa 47.000 imprese in meno rispetto ai Paesi Bassi (in seconda posizione con 128.900 unità).
In particolare, l’Italia si colloca al primo posto:
- per numero di imprese attive nel settore manifatturiero (339.881 unità) con uno scarto molto netto rispetto ai Paesi che occupano la seconda e la terza posizione (Francia – 258.300 unità e Polonia – 241.200 unità);
- per numero di imprese attive nel settore del commercio (circa 991.600 unità) con un divario di quasi 270.000 mila unità rispetto a Francia (secondo posto), di quasi 300.000 unità rispetto alla Spagna (terza) e di quasi 460.000 unità rispetto alla Germania (quarta con 534.000 unità);
- per numero di imprese attive nel settore alberghiero e della ristorazione (317.500 unità) poco al di sopra di Francia (308.700 unità) e Spagna (298.000 unità);
- per numero di imprese in attività professionali, scientifiche e tecniche (circa 864.800 unità) con un forte divario rispetto alla Francia in seconda posizione (689.100 unità) e ancora più marcato rispetto alla Germania in terza posizione (479.200 unità).
L’Italia si colloca invece fuori dal “podio”:
- per numero di imprese attive nel settore della fornitura di energia elettrica, gas, vapore, aria condizionata (8.822 unità), oltre cinque volte in meno rispetto alla Francia (42.549 unità) e oltre nove volte in meno rispetto alla Germania in prima posizione (74.346);
- per numero di imprese attive nel settore dei trasporti e magazzinaggio, dove si colloca al quarto posto (115.000 unità circa), dietro Spagna (227.800 unità), Francia (181.500 unità) e Polonia (170.000 unità);
- per numero di imprese attive nel settore dell’informazione e della comunicazione, al quinto posto (115.300 unità), dietro Polonia (217.500 unità), Francia (209.300 unità), Germania (135.900 unità) e Paesi Bassi (126.500 unità);
- per numero di imprese attive nel settore delle attività amministrative e di supporto (169.000 unità);
- per numero di imprese attive nel settore dell’istruzione e dell’educazione, al settimo posto (43.400 unità), quasi un quinto delle imprese attive nello stesso settore in Francia (al primo posto con circa 214.000 unità) e un terzo delle stesse imprese nei Paesi Bassi (al secondo posto con 133.600 unità) e in Spagna (al terzo posto con 122.700 unità);
- per numero di imprese attive nel settore delle attività artistiche, dell’intrattenimento e del divertimento (quinta posto con 82.200 unità), meno della metà rispetto al numero di imprese attive nello stesso settore in Francia (prima con 175.900 unità) e circa 47.000 imprese in meno rispetto ai Paesi Bassi (in seconda posizione con 128.900 unità).
1.2 NUMERO DI IMPRESE IN PERCENTUALE SUL TOTALE
In proporzione rispetto al totale, il settore economico che in Italia conta il maggior numero di imprese è quello del commercio (23%), un dato superiore rispetto alla media UE (19%) e rispetto agli altri Paesi europei paragonabili per dimensioni demografiche ed economiche all’Italia: Francia (15%), Germania (18%) e Spagna (21%). Gli unici stati dell’Unione Europea con una percentuale superiore di imprese attive nel settore del commercio rispetto all’Italia sono Grecia (25%), Romania (28%) e Bulgaria (36%), mentre tra i Paesi europei extra-UE, corrispondenti all’area balcanica, la quota di imprese attive nel settore del commercio è superiore rispetto all’Italia e tocca il picco massimo in Albania (39%). Come è possibile osservare dalla figura 2 il peso del settore del commercio sul totale della popolazione di imprese è molto contenuto nei Paesi scandinavi e nord europei.
Circa il 20% delle imprese attive in Italia rientra nel settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche, un dato superiore rispetto alla media UE (16%) e tra i più elevati in Europa: il peso relativo di questo settore sulla popolazione di imprese attive è leggermente superiore solamente nei Paesi Bassi (21%), in Belgio (23%), Lussemburgo (24%), Slovenia (21%) e Svezia (22%).
I rimanenti settori NACE con maggiore rilevanza sulla composizione della popolazione di imprese italiane sono nell’ordine: Costruzioni (12%), Sanità e assistenza sociale (8%), Attività manifatturiere (8%), Attività di alloggio e servizi di ristorazione (8%), Attività Immobiliari (5%). La percentuale di imprese attive in questi settori è in linea con la media UE e simile a quanto si osserva nei Paesi europei con dimensioni demografiche ed economiche paragonabili all’Italia.
In proporzione rispetto al totale, il settore economico che in Italia conta il maggior numero di imprese è quello del commercio (23%), un dato superiore rispetto alla media UE (19%) e rispetto agli altri Paesi europei paragonabili per dimensioni demografiche ed economiche all’Italia: Francia (15%), Germania (18%) e Spagna (21%). Gli unici stati dell’Unione Europea con una percentuale superiore di imprese attive nel settore del commercio rispetto all’Italia sono Grecia (25%), Romania (28%) e Bulgaria (36%), mentre tra i Paesi europei extra-UE, corrispondenti all’area balcanica, la quota di imprese attive nel settore del commercio è superiore rispetto all’Italia e tocca il picco massimo in Albania (39%). Come è possibile osservare dalla figura 2 il peso del settore del commercio sul totale della popolazione di imprese è molto contenuto nei Paesi scandinavi e nord europei.
Circa il 20% delle imprese attive in Italia rientra nel settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche, un dato superiore rispetto alla media UE (16%) e tra i più elevati in Europa: il peso relativo di questo settore sulla popolazione di imprese attive è leggermente superiore solamente nei Paesi Bassi (21%), in Belgio (23%), Lussemburgo (24%), Slovenia (21%) e Svezia (22%).
I rimanenti settori NACE con maggiore rilevanza sulla composizione della popolazione di imprese italiane sono nell’ordine: Costruzioni (12%), Sanità e assistenza sociale (8%), Attività manifatturiere (8%), Attività di alloggio e servizi di ristorazione (8%), Attività Immobiliari (5%). La percentuale di imprese attive in questi settori è in linea con la media UE e simile a quanto si osserva nei Paesi europei con dimensioni demografiche ed economiche paragonabili all’Italia.
1.3 NUMERO DI IMPRESE PER CLASSI E ADDETTI
Nella maggior parte dei Paesi Europei le microimprese, che contano meno di 10 addetti, rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione totale di imprese. In Italia il 95% delle imprese attive conta meno di 10 addetti, 0,4 p.p. in più rispetto alla media UE. Solo in Svizzera (66%), Germania (84%) e Lussemburgo (87%) la percentuale di imprese con meno di 10 addetti è inferiore al 90%. Il restante 5% delle imprese italiane è costituito dal 3,3% di imprese con un numero di addetti compreso tra 10 e 19; dal 1,4% di imprese con un numero di addetti compreso tra 20 e 49; dallo 0,6% di medie imprese con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 249; mentre solo lo 0,1% delle imprese conta più di 250 addetti. Quasi tutti i Paesi europei sono caratterizzati da una simile composizione della popolazione di impresa per la loro dimensione. Rappresentano delle eccezioni gli stati menzionati in precedenza: in Germania oltre il 9% delle imprese conta un numero di addetti compreso tra 10 e 19; il 4,3% ne conta un numero compreso tra 20 e 49; il 2% sono medie imprese con un numero di addetti compreso tra 50 e 249 e mentre lo 0,4% sono grandi imprese con più di 250 dipendenti. In Svizzera quasi il 18% delle imprese conta tra i 10 e i 19 addetti, il 10% ne conta tra 20 e 49, il 5% tra 49 e 250, mentre le grandi imprese con più di 250 dipendenti rappresentano quasi l’1% della popolazione totale di imprese svizzere.
Nella maggior parte dei Paesi Europei le microimprese, che contano meno di 10 addetti, rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione totale di imprese. In Italia il 95% delle imprese attive conta meno di 10 addetti, 0,4 p.p. in più rispetto alla media UE. Solo in Svizzera (66%), Germania (84%) e Lussemburgo (87%) la percentuale di imprese con meno di 10 addetti è inferiore al 90%. Il restante 5% delle imprese italiane è costituito dal 3,3% di imprese con un numero di addetti compreso tra 10 e 19; dal 1,4% di imprese con un numero di addetti compreso tra 20 e 49; dallo 0,6% di medie imprese con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 249; mentre solo lo 0,1% delle imprese conta più di 250 addetti. Quasi tutti i Paesi europei sono caratterizzati da una simile composizione della popolazione di impresa per la loro dimensione. Rappresentano delle eccezioni gli stati menzionati in precedenza: in Germania oltre il 9% delle imprese conta un numero di addetti compreso tra 10 e 19; il 4,3% ne conta un numero compreso tra 20 e 49; il 2% sono medie imprese con un numero di addetti compreso tra 50 e 249 e mentre lo 0,4% sono grandi imprese con più di 250 dipendenti. In Svizzera quasi il 18% delle imprese conta tra i 10 e i 19 addetti, il 10% ne conta tra 20 e 49, il 5% tra 49 e 250, mentre le grandi imprese con più di 250 dipendenti rappresentano quasi l’1% della popolazione totale di imprese svizzere.
Numero medio di addetti per impresa, per divisione NACE
Le imprese italiane contano in media 4 addetti, così come è osservabile per le imprese francesi e olandesi. La media UE è di 5 addetti per imprese, come in Spagna, Belgio e Svezia. Gli unici Paesi europei in cui si osserva una media superiore ai 10 addetti sono la Germania (12) e la Svizzera che con una media di 21 addetti per impresa supera di quattro volte la media UE. I settori in cui le imprese Italiane impiegano mediamente il maggior numero di addetti sono: il settore manifatturiero (12), 2 addetti in meno rispetto alla media UE, ma meno di un terzo rispetto alla Germania (40); Trasporto e magazzinaggio (10), 3 addetti in più rispetto alla media UE; le attività di estrazione mineraria (10), meno della metà degli addetti della media UE (22); il settore della fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (24), 5 addetti in più rispetto alla media UE (19).
Osservando il dato relativo ai settori NACE che contano il maggior numero di imprese attive in Italia, nel settore del commercio il numero medio di addetti è pari a 4, uno in meno rispetto alla media UE e circa un terzo rispetto alla Germania (12), mentre le imprese nel settore delle attività professionali, tecniche e scientifiche contano mediamente 2 addetti, in linea con la media UE e un terzo rispetto alla Germania (6).
Le imprese italiane contano in media 4 addetti, così come è osservabile per le imprese francesi e olandesi. La media UE è di 5 addetti per imprese, come in Spagna, Belgio e Svezia. Gli unici Paesi europei in cui si osserva una media superiore ai 10 addetti sono la Germania (12) e la Svizzera che con una media di 21 addetti per impresa supera di quattro volte la media UE. I settori in cui le imprese Italiane impiegano mediamente il maggior numero di addetti sono: il settore manifatturiero (12), 2 addetti in meno rispetto alla media UE, ma meno di un terzo rispetto alla Germania (40); Trasporto e magazzinaggio (10), 3 addetti in più rispetto alla media UE; le attività di estrazione mineraria (10), meno della metà degli addetti della media UE (22); il settore della fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (24), 5 addetti in più rispetto alla media UE (19).
Osservando il dato relativo ai settori NACE che contano il maggior numero di imprese attive in Italia, nel settore del commercio il numero medio di addetti è pari a 4, uno in meno rispetto alla media UE e circa un terzo rispetto alla Germania (12), mentre le imprese nel settore delle attività professionali, tecniche e scientifiche contano mediamente 2 addetti, in linea con la media UE e un terzo rispetto alla Germania (6).
Fatturato netto, per divisione NACE
Il fatturato netto delle imprese italiane ammonta a circa 4.200 miliardi di euro. L’Italia si colloca al terzo posto in Europa per fatturato netto dietro Francia (5.600 miliardi di euro) e Germania, che con 10.400 miliardi di euro di fatturato netto totale si colloca nettamente al primo posto in Europa.
L’Italia rientra tra le prime tre posizioni in Europa per fatturato netto delle imprese nei seguenti settori NACE: attività manifatturiere (1.200 miliardi di euro), poco al di sotto di Francia (1.400 miliardi) e oltre la metà del fatturato delle imprese tedesche, al primo posto (2.900 miliardi);
fornitura di energia, gas, vapore e aria condizionata (302,2 miliardi di euro), al secondo posto con un quarto del fatturato registrato dalle imprese tedesche (1.200 miliardi); fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (50.169 milioni di euro), al terzo posto, poco al di sotto di Francia (50.877 milioni) e della Germania, che registra un fatturato molto più elevato (87.833 milioni);
costruzioni (317,4 miliardi di euro), in terza posizione dietro Francia (400,6 miliardi) e Germania (425,7 miliardi); trasporto e magazzinaggio (198,5 miliardi di euro), al terzo posto dietro Francia (266,9 miliardi) e Germania dove si registra oltre il doppio del fatturato (457,8 miliardi); alloggio e ristorazione (116,5 miliardi) in terza posizione, a distanza ravvicinata rispetto a Germania (130,2 miliardi) e Francia (133,7 miliardi); immobiliare (46,1 miliardi di euro), circa la metà del fatturato di Francia (93,2 miliardi) e un quarto del fatturato delle imprese in Germania (145,1 miliardi).
L’Italia si colloca invece al quarto posto per fatturato delle imprese attive nel settore del commercio (1.200 miliardi di euro), meno della metà rispetto alla Germania al primo posto (2.600 miliardi) e in quinta posizione nel settore delle attività professionali, tecniche e scientifiche (160,4 miliardi di euro), i due settori che contano il maggior numero di imprese a livello nazionale1 Il dato Eurostat relativo alle Attività finanziarie e assicurative in Italia non è disponibile in quanto coperto da accordi di confidenzialità. .
Il fatturato netto delle imprese italiane ammonta a circa 4.200 miliardi di euro. L’Italia si colloca al terzo posto in Europa per fatturato netto dietro Francia (5.600 miliardi di euro) e Germania, che con 10.400 miliardi di euro di fatturato netto totale si colloca nettamente al primo posto in Europa.
L’Italia rientra tra le prime tre posizioni in Europa per fatturato netto delle imprese nei seguenti settori NACE: attività manifatturiere (1.200 miliardi di euro), poco al di sotto di Francia (1.400 miliardi) e oltre la metà del fatturato delle imprese tedesche, al primo posto (2.900 miliardi);
fornitura di energia, gas, vapore e aria condizionata (302,2 miliardi di euro), al secondo posto con un quarto del fatturato registrato dalle imprese tedesche (1.200 miliardi); fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (50.169 milioni di euro), al terzo posto, poco al di sotto di Francia (50.877 milioni) e della Germania, che registra un fatturato molto più elevato (87.833 milioni);
costruzioni (317,4 miliardi di euro), in terza posizione dietro Francia (400,6 miliardi) e Germania (425,7 miliardi); trasporto e magazzinaggio (198,5 miliardi di euro), al terzo posto dietro Francia (266,9 miliardi) e Germania dove si registra oltre il doppio del fatturato (457,8 miliardi); alloggio e ristorazione (116,5 miliardi) in terza posizione, a distanza ravvicinata rispetto a Germania (130,2 miliardi) e Francia (133,7 miliardi); immobiliare (46,1 miliardi di euro), circa la metà del fatturato di Francia (93,2 miliardi) e un quarto del fatturato delle imprese in Germania (145,1 miliardi).
L’Italia si colloca invece al quarto posto per fatturato delle imprese attive nel settore del commercio (1.200 miliardi di euro), meno della metà rispetto alla Germania al primo posto (2.600 miliardi) e in quinta posizione nel settore delle attività professionali, tecniche e scientifiche (160,4 miliardi di euro), i due settori che contano il maggior numero di imprese a livello nazionale2 Il dato Eurostat relativo alle Attività finanziarie e assicurative in Italia non è disponibile in quanto coperto da accordi di confidenzialità. .
3.1 FATTURATO NETTO, PER DIVISIONE NACE
Le imprese attive nel settore del commercio contribuiscono a circa il 30% del fatturato netto totale delle imprese italiane. Il contributo di questo settore economico è in linea con la media UE, leggermente inferiore a quanto avviene in Francia (31%) e Spagna (34%), mentre è superiore rispetto alla Germania (25%). Le imprese del settore manifatturiero contribuiscono al 31% del fatturato netto totale delle imprese italiane, un dato superiore rispetto alla media UE (25%) e inferiore solamente a Ungheria (34%) e Repubblica Slovacca (35%). Le imprese attive nel settore delle costruzioni e nel settore della fornitura di energia contribuiscono all’8% del fatturato netto totale delle imprese italiane, in entrambi i casi un dato leggermente superiore alla media UE. Le imprese attive nel settore delle attività professionali, tecniche e scientifiche, tra i settori più vasti in Italia per numero di imprese, contribuiscono solo al 4% del fatturato netto totale delle imprese italiane, mentre le imprese attive nel settore delle attività di alloggio e ristorazione contribuiscono al 3% del fatturato netto totale, un dato superiore alla media UE, e a quanto si osserva in Francia, Germania e Spagna dove questo settore costituisce una quota residuale del fatturato netto totale.
Le imprese attive nel settore del commercio contribuiscono a circa il 30% del fatturato netto totale delle imprese italiane. Il contributo di questo settore economico è in linea con la media UE, leggermente inferiore a quanto avviene in Francia (31%) e Spagna (34%), mentre è superiore rispetto alla Germania (25%). Le imprese del settore manifatturiero contribuiscono al 31% del fatturato netto totale delle imprese italiane, un dato superiore rispetto alla media UE (25%) e inferiore solamente a Ungheria (34%) e Repubblica Slovacca (35%). Le imprese attive nel settore delle costruzioni e nel settore della fornitura di energia contribuiscono all’8% del fatturato netto totale delle imprese italiane, in entrambi i casi un dato leggermente superiore alla media UE. Le imprese attive nel settore delle attività professionali, tecniche e scientifiche, tra i settori più vasti in Italia per numero di imprese, contribuiscono solo al 4% del fatturato netto totale delle imprese italiane, mentre le imprese attive nel settore delle attività di alloggio e ristorazione contribuiscono al 3% del fatturato netto totale, un dato superiore alla media UE, e a quanto si osserva in Francia, Germania e Spagna dove questo settore costituisce una quota residuale del fatturato netto totale.
3.2 FATTURATO NETTO, PER CLASSE DI ADDETTI
Le microimprese italiane, che contano meno di 10 dipendenti e costituiscono il 95% della popolazione di imprese, contribuiscono al 23% del fatturato netto totale, una quota di fatturato netto maggiore rispetto alla media UE (17%) e a quanto osservato in Germania (11%), Francia (16%) e Spagna (19%), i Paesi europei paragonabili all’Italia per dimensioni demografiche ed economiche. Le imprese italiane di medie dimensioni (50-249 addetti), che rappresentano lo 0,6% del totale contribuiscono al 19% del fatturato totale, due punti percentuali in più rispetto alla media UE, mentre le grandi imprese italiane (oltre 250 addetti), che costituiscono solo lo 0,1% del totale, contribuiscono al 38% del fatturato totale, una quota significativamente inferiore rispetto alla media UE (51%) e a quanto osservato in Spagna (46%), Francia (60%) e Germania (63%).
Le microimprese italiane, che contano meno di 10 dipendenti e costituiscono il 95% della popolazione di imprese, contribuiscono al 23% del fatturato netto totale, una quota di fatturato netto maggiore rispetto alla media UE (17%) e a quanto osservato in Germania (11%), Francia (16%) e Spagna (19%), i Paesi europei paragonabili all’Italia per dimensioni demografiche ed economiche. Le imprese italiane di medie dimensioni (50-249 addetti), che rappresentano lo 0,6% del totale contribuiscono al 19% del fatturato totale, due punti percentuali in più rispetto alla media UE, mentre le grandi imprese italiane (oltre 250 addetti), che costituiscono solo lo 0,1% del totale, contribuiscono al 38% del fatturato totale, una quota significativamente inferiore rispetto alla media UE (51%) e a quanto osservato in Spagna (46%), Francia (60%) e Germania (63%).
Fatturato netto per addetto, per divisione NACE
Il fatturato netto per addetto delle imprese italiane ammonta a 224 mila euro circa, in linea con la media UE (circa 235 mila euro) e di poco inferiore rispetto a Francia (306 mila euro) e Germania (circa 267 mila euro). Svizzera (1 milione di euro circa) e Lussemburgo (812 mila euro) si collocano nelle prime due posizioni per fatturato netto per addetto, staccando nettamente il Belgio (410 mila euro) che occupa la terza posizione.
Prendendo in considerazione i settori economici che contribuiscono in misura maggiore al fatturato netto totale delle imprese in Italia, le imprese attive nel settore manifatturiero generano circa 312.200 euro di fatturato netto per addetto, un dato quasi perfettamente in linea con la media UE (312.600 euro), leggermente inferiore rispetto alla Spagna (324.700 euro), più marcatamente inferiore rispetto a Germania (361.600 euro) e Francia (382.200 euro), ma meno della metà rispetto ai Paesi che occupano le prime tre posizioni Belgio (710.800 euro), Svizzera (680.900 euro) e Paesi Bassi (648.900 euro). Nel settore del commercio il fatturato netto per addetto delle imprese italiane ammonta a 346.100 euro, circa 40.000 euro in meno rispetto alla media UE, circa 70.000 euro in meno rispetto alla Germania e 120.000 euro in meno rispetto alla Francia, ma molto distante rispetto a Belgio (933.100 euro), Lussemburgo (1.781.700 euro) e Svizzera (3.707.400 euro) che si collocano nelle tre prime posizioni.
Il fatturato netto per addetto delle imprese italiane ammonta a 224 mila euro circa, in linea con la media UE (circa 235 mila euro) e di poco inferiore rispetto a Francia (306 mila euro) e Germania (circa 267 mila euro). Svizzera (1 milione di euro circa) e Lussemburgo (812 mila euro) si collocano nelle prime due posizioni per fatturato netto per addetto, staccando nettamente il Belgio (410 mila euro) che occupa la terza posizione.
Prendendo in considerazione i settori economici che contribuiscono in misura maggiore al fatturato netto totale delle imprese in Italia, le imprese attive nel settore manifatturiero generano circa 312.200 euro di fatturato netto per addetto, un dato quasi perfettamente in linea con la media UE (312.600 euro), leggermente inferiore rispetto alla Spagna (324.700 euro), più marcatamente inferiore rispetto a Germania (361.600 euro) e Francia (382.200 euro), ma meno della metà rispetto ai Paesi che occupano le prime tre posizioni Belgio (710.800 euro), Svizzera (680.900 euro) e Paesi Bassi (648.900 euro). Nel settore del commercio il fatturato netto per addetto delle imprese italiane ammonta a 346.100 euro, circa 40.000 euro in meno rispetto alla media UE, circa 70.000 euro in meno rispetto alla Germania e 120.000 euro in meno rispetto alla Francia, ma molto distante rispetto a Belgio (933.100 euro), Lussemburgo (1.781.700 euro) e Svizzera (3.707.400 euro) che si collocano nelle tre prime posizioni.
4.1 FATTURATO NETTO PER ADDETTO, PER CLASSE DI ADDETTI
Il fatturato netto per addetto delle microimprese italiane (0-9 addetti) ammonta a 127 mila euro circa, dato che coincide con la media UE, superiore alla Spagna (106 mila euro), leggermente inferiore rispetto a Germania (140 mila euro) e Francia (143 mila euro), meno della metà rispetto a Danimarca (264 mila euro), Belgio (290 mila euro) e Norvegia (294 mila euro) e molto distante rispetto al fatturato netto per addetti delle imprese dei Paesi che si collocano tra le prime posizioni in Europa: Svizzera (560 mila euro), Lussemburgo (474 mila euro) e Irlanda (361 mila euro). Il fatturato netto per addetto delle piccole imprese italiane con un numero di addetti compreso tra 10 e 19 ammonta a 202 mila euro, un dato superiore a Germania (145 mila euro), Spagna (157 mila euro), alla media UE (171 mila euro) e alla Francia (191 mila euro). Anche il fatturato netto per addetto delle imprese italiane di piccole dimensioni comprese tra 20 e 49 addetti e di medie dimensioni (50-249 addetti) è superiore rispetto alle media Ue e ai Paesi paragonabili all’Italia per dimensione demografica e dell’economia. Il fatturato netto per addetto delle imprese italiane di grandi dimensioni (332 mila euro), che contano oltre 250 addetti, è invece leggermente inferiore rispetto alla media UE (335 mila euro) e rispetto a Francia (362 mila euro) e Germania (390 mila euro).
Il fatturato netto per addetto delle microimprese italiane (0-9 addetti) ammonta a 127 mila euro circa, dato che coincide con la media UE, superiore alla Spagna (106 mila euro), leggermente inferiore rispetto a Germania (140 mila euro) e Francia (143 mila euro), meno della metà rispetto a Danimarca (264 mila euro), Belgio (290 mila euro) e Norvegia (294 mila euro) e molto distante rispetto al fatturato netto per addetti delle imprese dei Paesi che si collocano tra le prime posizioni in Europa: Svizzera (560 mila euro), Lussemburgo (474 mila euro) e Irlanda (361 mila euro). Il fatturato netto per addetto delle piccole imprese italiane con un numero di addetti compreso tra 10 e 19 ammonta a 202 mila euro, un dato superiore a Germania (145 mila euro), Spagna (157 mila euro), alla media UE (171 mila euro) e alla Francia (191 mila euro). Anche il fatturato netto per addetto delle imprese italiane di piccole dimensioni comprese tra 20 e 49 addetti e di medie dimensioni (50-249 addetti) è superiore rispetto alle media Ue e ai Paesi paragonabili all’Italia per dimensione demografica e dell’economia. Il fatturato netto per addetto delle imprese italiane di grandi dimensioni (332 mila euro), che contano oltre 250 addetti, è invece leggermente inferiore rispetto alla media UE (335 mila euro) e rispetto a Francia (362 mila euro) e Germania (390 mila euro).
Valore aggiunto, per divisione NACE
Il valore aggiunto complessivo rappresenta la ricchezza generata dalle aziende attive in un determinato territorio, ovvero la differenza tra il valore della produzione e i costi dei beni e servizi acquistati da terzi, includendo anche stipendi, ammortamenti e margine operativo. Il valore aggiunto complessivo delle imprese italiane ammonta a 1.100 miliardi di euro, il terzo valore più elevato in Europa dietro a Francia (1.500 miliardi) e Germania (2.900 miliardi), che si collocano in prima e seconda posizione (spesso con un ampio divario rispetto agli altri Paesi europei) in quasi tutti i settori economici.
L’Italia si colloca in seconda posizione per valore aggiunto generato dalle imprese attive nel settore manifatturiero (306,8 miliardi di euro), dietro alla Germania, dove le imprese manifatturiere generano oltre il doppio del valore aggiunto (773,3 miliardi). Anche nel settore della fornitura d’acqua e gestione dei rifiuti l’Italia figura al secondo posto per valore aggiunto delle imprese (circa 18 miliardi di euro), anche in questo caso alle spalle della Germania, dove le imprese generano quasi il doppio del valore aggiunto (circa 33 miliardi di euro). L’Italia si colloca invece al terzo posto, dietro Germania e Francia, per valore aggiunto generato dalle imprese nei settori: del commercio (176,6 miliardi,); del trasporto e magazzinaggio (circa 70 miliardi euro); nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (78 miliardi di euro); delle attività immobiliari (21 miliardi di euro circa).
L’Italia si colloca invece in quarta posizione per valore aggiunto prodotto dalle imprese attive: nel settore alberghiero e della ristorazione (38,8 miliardi di euro), immediatamente alle spalle della Spagna (40,8 miliardi); nel settore specifico delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione – ICT (57,6 miliardi di euro), dove in prima posizione figura l’Irlanda (173 miliardi circa). L’Italia si colloca invece solo al settimo posto per valore aggiunto generato dalle imprese attive nel settore dell’istruzione e dell’educazione (3,8 miliardi di euro), dietro a Germania (19 miliardi), Francia (13,6 miliardi), Spagna (9,7 miliardi), Paesi Bassi (5,3 miliardi), Svezia (4,8 miliardi) e Svizzera (3,9 miliardi).
Il valore aggiunto complessivo rappresenta la ricchezza generata dalle aziende attive in un determinato territorio, ovvero la differenza tra il valore della produzione e i costi dei beni e servizi acquistati da terzi, includendo anche stipendi, ammortamenti e margine operativo. Il valore aggiunto complessivo delle imprese italiane ammonta a 1.100 miliardi di euro, il terzo valore più elevato in Europa dietro a Francia (1.500 miliardi) e Germania (2.900 miliardi), che si collocano in prima e seconda posizione (spesso con un ampio divario rispetto agli altri Paesi europei) in quasi tutti i settori economici.
L’Italia si colloca in seconda posizione per valore aggiunto generato dalle imprese attive nel settore manifatturiero (306,8 miliardi di euro), dietro alla Germania, dove le imprese manifatturiere generano oltre il doppio del valore aggiunto (773,3 miliardi). Anche nel settore della fornitura d’acqua e gestione dei rifiuti l’Italia figura al secondo posto per valore aggiunto delle imprese (circa 18 miliardi di euro), anche in questo caso alle spalle della Germania, dove le imprese generano quasi il doppio del valore aggiunto (circa 33 miliardi di euro). L’Italia si colloca invece al terzo posto, dietro Germania e Francia, per valore aggiunto generato dalle imprese nei settori: del commercio (176,6 miliardi,); del trasporto e magazzinaggio (circa 70 miliardi euro); nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (78 miliardi di euro); delle attività immobiliari (21 miliardi di euro circa).
L’Italia si colloca invece in quarta posizione per valore aggiunto prodotto dalle imprese attive: nel settore alberghiero e della ristorazione (38,8 miliardi di euro), immediatamente alle spalle della Spagna (40,8 miliardi); nel settore specifico delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione – ICT (57,6 miliardi di euro), dove in prima posizione figura l’Irlanda (173 miliardi circa). L’Italia si colloca invece solo al settimo posto per valore aggiunto generato dalle imprese attive nel settore dell’istruzione e dell’educazione (3,8 miliardi di euro), dietro a Germania (19 miliardi), Francia (13,6 miliardi), Spagna (9,7 miliardi), Paesi Bassi (5,3 miliardi), Svezia (4,8 miliardi) e Svizzera (3,9 miliardi).
Valore aggiunto per ore lavorate dai dipendenti, per divisione NACE
Il valore aggiunto per ora lavorata dai dipendenti è un indicatore di produttività del lavoro che misura l’efficienza con cui l’attività lavorativa contribuisce alla creazione di valore. Un valore più elevato indica un utilizzo più produttivo della forza lavoro. Questo indicatore è particolarmente utile per valutare la competitività di un’impresa o, come in questo caso, di un intero sistema produttivo, oltre che per confrontare i livelli di produttività tra diversi Paesi e settori economici.
Nel complesso il valore aggiunto per ora lavorata dai dipendenti generato dalle imprese italiane è pari a 52,5 euro, poco superiore rispetto alla media UE (49,4 euro), circa 14 euro superiore rispetto al dato relativo alle imprese spagnole, mentre è leggermente inferiore rispetto al valore aggiunto per ora lavorata in Francia (53,1 euro) e circa 8 euro inferiore rispetto al dato registrato in Germania.
Le imprese italiane attive nel settore manifatturiero generano circa 54 euro di valore aggiunto per ora lavorata, un dato leggermente superiore a quello relativo alle imprese spagnole (43,5 euro), francesi (51,5 euro) e alla media UE (52,6 euro), mentre è di poco inferiore rispetto al valore aggiunto per ora lavorata prodotto dalle imprese tedesche (67,2 euro).
Le imprese italiane attive nel settore delle costruzioni generano 47,5 euro di valore aggiunto per ora lavorata, un valore più elevato rispetto al dato registrato per le imprese spagnole (31 euro), alla media UE (37,8 euro), francesi (40,2 euro) e tedesche (46,2 euro). Le imprese italiane attive nel settore del commercio producono circa 51 euro di valore aggiunto per ora lavorata, un valore molto superiore rispetto a quello raggiunto dalle imprese spagnole (32 euro), alla media UE (41,7 euro) e dalle imprese francesi (circa 42 euro), mentre è inferiore rispetto al valore aggiunto per ora lavorata generato dalle imprese tedesche (58,5 euro). Le imprese italiane attive nel settore immobiliare producono circa 208 euro di valore aggiunto per ora lavorata, quasi il doppio rispetto alla media UE (circa 106 euro), più del doppio rispetto alle imprese spagnole (circa 89 euro) e francesi (circa 96 euro) e nettamente superiore rispetto alle imprese tedesche (131,6 euro). Le imprese italiane attive nel settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche generano circa 84 euro di valore aggiunto per ora lavorata, il secondo valore più elevato in Europa alle spalle delle imprese in Belgio (115,3 euro), quasi 30 euro in più rispetto alla media UE (56 euro).
Il valore aggiunto per ora lavorata dai dipendenti è un indicatore di produttività del lavoro che misura l’efficienza con cui l’attività lavorativa contribuisce alla creazione di valore. Un valore più elevato indica un utilizzo più produttivo della forza lavoro. Questo indicatore è particolarmente utile per valutare la competitività di un’impresa o, come in questo caso, di un intero sistema produttivo, oltre che per confrontare i livelli di produttività tra diversi Paesi e settori economici.
Nel complesso il valore aggiunto per ora lavorata dai dipendenti generato dalle imprese italiane è pari a 52,5 euro, poco superiore rispetto alla media UE (49,4 euro), circa 14 euro superiore rispetto al dato relativo alle imprese spagnole, mentre è leggermente inferiore rispetto al valore aggiunto per ora lavorata in Francia (53,1 euro) e circa 8 euro inferiore rispetto al dato registrato in Germania.
Le imprese italiane attive nel settore manifatturiero generano circa 54 euro di valore aggiunto per ora lavorata, un dato leggermente superiore a quello relativo alle imprese spagnole (43,5 euro), francesi (51,5 euro) e alla media UE (52,6 euro), mentre è di poco inferiore rispetto al valore aggiunto per ora lavorata prodotto dalle imprese tedesche (67,2 euro).
Le imprese italiane attive nel settore delle costruzioni generano 47,5 euro di valore aggiunto per ora lavorata, un valore più elevato rispetto al dato registrato per le imprese spagnole (31 euro), alla media UE (37,8 euro), francesi (40,2 euro) e tedesche (46,2 euro). Le imprese italiane attive nel settore del commercio producono circa 51 euro di valore aggiunto per ora lavorata, un valore molto superiore rispetto a quello raggiunto dalle imprese spagnole (32 euro), alla media UE (41,7 euro) e dalle imprese francesi (circa 42 euro), mentre è inferiore rispetto al valore aggiunto per ora lavorata generato dalle imprese tedesche (58,5 euro). Le imprese italiane attive nel settore immobiliare producono circa 208 euro di valore aggiunto per ora lavorata, quasi il doppio rispetto alla media UE (circa 106 euro), più del doppio rispetto alle imprese spagnole (circa 89 euro) e francesi (circa 96 euro) e nettamente superiore rispetto alle imprese tedesche (131,6 euro). Le imprese italiane attive nel settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche generano circa 84 euro di valore aggiunto per ora lavorata, il secondo valore più elevato in Europa alle spalle delle imprese in Belgio (115,3 euro), quasi 30 euro in più rispetto alla media UE (56 euro).
Costo medio del personale PER DIPENDENTE, per divisione NACE
Il costo medio del personale, che comprende salari, contributi sociali e altri costi del lavoro (es. benefit aziendali), sostenuto dalle imprese italiane complessivamente è pari a circa 40 mila euro, leggermente al di sotto della media UE (41,1 mila euro), superiore rispetto al costo medio del personale in Spagna (circa 34 mila euro) e inferiore rispetto a Germania (quasi 48 mila euro) e Francia (55,6 mila euro). Il costo medio del personale sostenuto dalle imprese italiane si discosta di poco dalla media totale prendendo in considerazione la maggior parte dei diversi settori economici NACE, e dalla media UE per ogni singolo settore. I settori economici in cui le imprese italiane sostengono il costo medio del personale più elevato sono quello della fornitura energetica (72 mila euro), quello dell’estrazione mineraria (58 mila euro), e il settore delle ICT (55 mila euro). I settori economici in cui le imprese italiane fronteggiano costi medi del personale più limitati sono quello dell’alloggio e ristorazione ( circa 22 mila euro), quello dell’istruzione (24 mila euro) e quello della sanità e assistenza sociale (circa 26 mila euro, quasi 12 mila euro in meno rispetto alla media UE).
Il costo medio del personale, che comprende salari, contributi sociali e altri costi del lavoro (es. benefit aziendali), sostenuto dalle imprese italiane complessivamente è pari a circa 40 mila euro, leggermente al di sotto della media UE (41,1 mila euro), superiore rispetto al costo medio del personale in Spagna (circa 34 mila euro) e inferiore rispetto a Germania (quasi 48 mila euro) e Francia (55,6 mila euro). Il costo medio del personale sostenuto dalle imprese italiane si discosta di poco dalla media totale prendendo in considerazione la maggior parte dei diversi settori economici NACE, e dalla media UE per ogni singolo settore. I settori economici in cui le imprese italiane sostengono il costo medio del personale più elevato sono quello della fornitura energetica (72 mila euro), quello dell’estrazione mineraria (58 mila euro), e il settore delle ICT (55 mila euro). I settori economici in cui le imprese italiane fronteggiano costi medi del personale più limitati sono quello dell’alloggio e ristorazione ( circa 22 mila euro), quello dell’istruzione (24 mila euro) e quello della sanità e assistenza sociale (circa 26 mila euro, quasi 12 mila euro in meno rispetto alla media UE).
Oneri sociali a carico del datore di lavoro, per divisione NACE
In Italia complessivamente gli oneri sociali a carico del datore di lavoro, misurati come il costo aggiuntivo che un’azienda deve sostenere, oltre ai salari, per finanziare contributi previdenziali e altri obblighi sociali relativi ai dipendenti, ammontano in media al 27,6% delle retribuzioni dei lavoratori, circa 6 punti percentuali in più rispetto alla media UE. L’Italia si colloca al terzo posto in Europa dietro a Svezia (31,5%) e Francia (28,3%). La quota di oneri sociali a carico del datore di lavoro in percentuale sulle retribuzioni dei dipendenti varia poco rispetto alla media totale prendendo in considerazione i diversi settori economici NACE. Il settore economico in cui gli oneri sociali sono più elevati sono quello delle costruzioni (31%) e dell’estrazione mineraria (31,2%), mentre il settore in cui la quota è più contenuto è quello delle attività artistiche, di intrattenimento e del divertimento (21%).
In Italia complessivamente gli oneri sociali a carico del datore di lavoro, misurati come il costo aggiuntivo che un’azienda deve sostenere, oltre ai salari, per finanziare contributi previdenziali e altri obblighi sociali relativi ai dipendenti, ammontano in media al 27,6% delle retribuzioni dei lavoratori, circa 6 punti percentuali in più rispetto alla media UE. L’Italia si colloca al terzo posto in Europa dietro a Svezia (31,5%) e Francia (28,3%). La quota di oneri sociali a carico del datore di lavoro in percentuale sulle retribuzioni dei dipendenti varia poco rispetto alla media totale prendendo in considerazione i diversi settori economici NACE. Il settore economico in cui gli oneri sociali sono più elevati sono quello delle costruzioni (31%) e dell’estrazione mineraria (31,2%), mentre il settore in cui la quota è più contenuto è quello delle attività artistiche, di intrattenimento e del divertimento (21%).
Produttività del lavoro rettificata per i salari, per divisione NACE
Questo indicatore esprime il rapporto in percentuale tra il valore aggiunto prodotto da un lavoratore e il costo della sua retribuzione. Se il valore assunto dell’indicatore è superiore al 100% il valore aggiunto generato è superiore al costo del lavoro e viceversa. Un livello elevato di produttività del lavoro rettificata per i salari suggerisce che le imprese in un determinato settore o Paese tendono a essere economicamente sostenibili e redditizie. In Italia, sul totale dei settori economici, questo rapporto è del 149,6% (in altre parole, in media il valore aggiunto generato dai lavoratori italiani corrisponde circa a 1,5 volte il loro costo), poco al di sotto della media UE (152,6%), un valore superiore alla Francia in ultima posizione (128,2%), alla Spagna (146,3%) e di poco inferiore rispetto alla Germania (155%). I Paesi dell’Est Europa (Romania, Bulgaria, Albania, Bosnia, Macedonia) tendono a mostrare valori elevati dell’indicatore, probabilmente dovuti a un costo del lavoro relativamente basso rispetto alla produttività. In Italia i settori economici che mostrano i valori più elevati di produttività adeguata ai salari sono: il settore di estrazione dei minerali (334,1%); il settore della fornitura energetica (442,8%); il settore immobiliare (207,5%), nonostante rientri tra i valori più bassi in Europa. I settori economici in cui tra le imprese italiane si osservano i valori più bassi di produttività rettificata per i salari sono: il settore alberghiero e della ristorazione (114,4%), assieme alla Francia (109,8%) tra i valori più bassi in Europa, circa 10 punti percentuali in meno rispetto alla media UE (125%); il settore che comprende le attività professionali, scientifiche e tecniche (114,6%), leggermente al di sopra della media UE (110,6%); il settore dell’istruzione (117,5%), superiore di circa 20 punti percentuali rispetto alla media UE (97,4%) e tra i valori più elevati in Europa assieme alla Germana (117,%). Nel settore della sanità e dell’assistenza sociale la produttività adeguata ai salari osservata è pari al 142%, circa 25 punti percentuali in più rispetto alla media UE (116,5%), tra i più elevati in Europa assieme a Paesi Est europei (Albania, Romania, Bosnia, Slovacchia), probabilmente a causa di un costo del lavoro relativamente basso rispetto alla produttività.
Questo indicatore esprime il rapporto in percentuale tra il valore aggiunto prodotto da un lavoratore e il costo della sua retribuzione. Se il valore assunto dell’indicatore è superiore al 100% il valore aggiunto generato è superiore al costo del lavoro e viceversa. Un livello elevato di produttività del lavoro rettificata per i salari suggerisce che le imprese in un determinato settore o Paese tendono a essere economicamente sostenibili e redditizie. In Italia, sul totale dei settori economici, questo rapporto è del 149,6% (in altre parole, in media il valore aggiunto generato dai lavoratori italiani corrisponde circa a 1,5 volte il loro costo), poco al di sotto della media UE (152,6%), un valore superiore alla Francia in ultima posizione (128,2%), alla Spagna (146,3%) e di poco inferiore rispetto alla Germania (155%). I Paesi dell’Est Europa (Romania, Bulgaria, Albania, Bosnia, Macedonia) tendono a mostrare valori elevati dell’indicatore, probabilmente dovuti a un costo del lavoro relativamente basso rispetto alla produttività. In Italia i settori economici che mostrano i valori più elevati di produttività adeguata ai salari sono: il settore di estrazione dei minerali (334,1%); il settore della fornitura energetica (442,8%); il settore immobiliare (207,5%), nonostante rientri tra i valori più bassi in Europa. I settori economici in cui tra le imprese italiane si osservano i valori più bassi di produttività rettificata per i salari sono: il settore alberghiero e della ristorazione (114,4%), assieme alla Francia (109,8%) tra i valori più bassi in Europa, circa 10 punti percentuali in meno rispetto alla media UE (125%); il settore che comprende le attività professionali, scientifiche e tecniche (114,6%), leggermente al di sopra della media UE (110,6%); il settore dell’istruzione (117,5%), superiore di circa 20 punti percentuali rispetto alla media UE (97,4%) e tra i valori più elevati in Europa assieme alla Germana (117,%). Nel settore della sanità e dell’assistenza sociale la produttività adeguata ai salari osservata è pari al 142%, circa 25 punti percentuali in più rispetto alla media UE (116,5%), tra i più elevati in Europa assieme a Paesi Est europei (Albania, Romania, Bosnia, Slovacchia), probabilmente a causa di un costo del lavoro relativamente basso rispetto alla produttività.
Tasso di natalità delle imprese, per divisione NACE
Il tasso di natalità delle imprese, calcolato come il rapporto percentuale tra il numero di imprese attivate in un anno e il totale delle imprese attive nell’anno precedente, è un indicatore che misura la dinamicità del tessuto imprenditoriale in un Paese o settore economico. L’Italia si colloca in terz’ultima posizione tra i Paesi europei per tasso di natalità delle imprese (7,9%), quasi 3 punti percentuali in meno rispetto alla media UE (10,5%), immediatamente a ridosso di Germania (8%) e Spagna (8,6%), ma con un tasso di natalità pari a circa la metà rispetto a quanto osservato in Francia (14,3%). L’Italia mostra tassi di natalità inferiori alla media UE in quasi i tutti settori economici NACE. I settori in cui il tasso di natalità risulta particolarmente contenuto sono: il manifatturiero (4,28%), contro il 7,7% UE; il settore immobiliare, in cui si registra il tasso di natalità più basso d’Europa (4,1%); nel settore della fornitura energetica (4,1%), oltre 6 punti percentuali in meno rispetto alla media UE (10,9%); nel settore della fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (3,1%), circa la metà rispetto alla media UE (6,8%) e nel settore delle ICT (8,5%), penultima in Europa, quasi 6 punti percentuali al di sotto della media UE (14%). I tassi di natalità delle imprese nei settori delle attività artistiche e ricreative (14,2%), dell’istruzione (17%) e della sanità e assistenza sociale (10,2%) evidenziano un dinamismo più elevato rispetto alla media complessiva nazionale e alla media UE nei rispettivi settori
Il tasso di natalità delle imprese, calcolato come il rapporto percentuale tra il numero di imprese attivate in un anno e il totale delle imprese attive nell’anno precedente, è un indicatore che misura la dinamicità del tessuto imprenditoriale in un Paese o settore economico. L’Italia si colloca in terz’ultima posizione tra i Paesi europei per tasso di natalità delle imprese (7,9%), quasi 3 punti percentuali in meno rispetto alla media UE (10,5%), immediatamente a ridosso di Germania (8%) e Spagna (8,6%), ma con un tasso di natalità pari a circa la metà rispetto a quanto osservato in Francia (14,3%). L’Italia mostra tassi di natalità inferiori alla media UE in quasi i tutti settori economici NACE. I settori in cui il tasso di natalità risulta particolarmente contenuto sono: il manifatturiero (4,28%), contro il 7,7% UE; il settore immobiliare, in cui si registra il tasso di natalità più basso d’Europa (4,1%); nel settore della fornitura energetica (4,1%), oltre 6 punti percentuali in meno rispetto alla media UE (10,9%); nel settore della fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (3,1%), circa la metà rispetto alla media UE (6,8%) e nel settore delle ICT (8,5%), penultima in Europa, quasi 6 punti percentuali al di sotto della media UE (14%). I tassi di natalità delle imprese nei settori delle attività artistiche e ricreative (14,2%), dell’istruzione (17%) e della sanità e assistenza sociale (10,2%) evidenziano un dinamismo più elevato rispetto alla media complessiva nazionale e alla media UE nei rispettivi settori
Tasso di mortalità, per divisione NACE
Il tasso di mortalità delle imprese, calcolato come il rapporto percentuale tra il numero di imprese chiuse in un anno e il totale delle imprese attive nell’anno precedente, è un indicatore che fornisce informazioni sulla stabilità economica, la competitività e le difficoltà che le aziende affrontano nei diversi settori economici e contesti nazionali. Un tasso di mortalità basso non è sempre un segnale positivo, così come un tasso di mortalità alto non è necessariamente un segnale negativo: bassi tassi di mortalità possono indicare la presenza di barriere all’uscita delle imprese meno produttive e competitive. Allo stesso modo, tassi elevati di mortalità delle imprese possono riflettere un mercato dinamico, in cui le imprese nascono e muoiono rapidamente, favorendo l’innovazione e la crescita delle aziende più efficienti. Il tasso di mortalità complessivo delle imprese italiane (6,7%) è inferiore di 2 punti percentuali alla media UE (8,7%) e al tasso di mortalità delle imprese in Spagna (8,6%) e Germania (8,7%). Il tasso di mortalità delle imprese italiane è inferiore alla media UE in tutti i settori economici NACE, eccetto il settore della sanità e dell’assistenza sociale. In particolare l’Italia si colloca in penultima posizione per tasso di mortalità delle imprese nel settore alberghiero e della ristorazione (5,7%), 3 p.p. inferiore alla media UE (8,7%); in terz’ultima posizione nel settore dei trasporti e magazzinaggio (5,7%), circa 4 p.p. al di sotto della media UE (9,6%).
Il tasso di mortalità delle imprese, calcolato come il rapporto percentuale tra il numero di imprese chiuse in un anno e il totale delle imprese attive nell’anno precedente, è un indicatore che fornisce informazioni sulla stabilità economica, la competitività e le difficoltà che le aziende affrontano nei diversi settori economici e contesti nazionali. Un tasso di mortalità basso non è sempre un segnale positivo, così come un tasso di mortalità alto non è necessariamente un segnale negativo: bassi tassi di mortalità possono indicare la presenza di barriere all’uscita delle imprese meno produttive e competitive. Allo stesso modo, tassi elevati di mortalità delle imprese possono riflettere un mercato dinamico, in cui le imprese nascono e muoiono rapidamente, favorendo l’innovazione e la crescita delle aziende più efficienti. Il tasso di mortalità complessivo delle imprese italiane (6,7%) è inferiore di 2 punti percentuali alla media UE (8,7%) e al tasso di mortalità delle imprese in Spagna (8,6%) e Germania (8,7%). Il tasso di mortalità delle imprese italiane è inferiore alla media UE in tutti i settori economici NACE, eccetto il settore della sanità e dell’assistenza sociale. In particolare l’Italia si colloca in penultima posizione per tasso di mortalità delle imprese nel settore alberghiero e della ristorazione (5,7%), 3 p.p. inferiore alla media UE (8,7%); in terz’ultima posizione nel settore dei trasporti e magazzinaggio (5,7%), circa 4 p.p. al di sotto della media UE (9,6%).
Churn rate delle imprese, per divisione NACE
Il Churn rate, calcolato come somma del tasso di natalità e di mortalità delle imprese in un determinato Paese o settore dell’economia, misura il grado complessivo di dinamismo del tessuto imprenditoriale. Valori elevati indicano un mercato molto dinamico, caratterizzato da una grande quantità di imprese in entrata e in uscita. Questo può essere un segnale di forte concorrenza e innovazione, ma anche di instabilità. Al contrario, un valore contenuto del churn rate suggerisce maggiore stabilità del mercato, con poche nuove imprese e poche chiusure, che può essere indice di maturità economica, ma può anche costituire un segnale di rigidità e scarsa innovazione. L’Italia si colloca tra le ultime quattro posizioni in Europa per churn rate (14,6%), 5 p.p. in meno rispetto alla media UE (19,2%). Il churn rate delle imprese italiane è inferiore rispetto alla media UE in quasi tutti i settori economici NACE, fanno eccezione alcuni settori in cui il tasso delle imprese italiane è leggermente superiore alla media UE: sanità e assistenza sociale (20%); istruzione (24,2%) e attività artistiche, ricreative e del divertimento (21,8%).
Il Churn rate, calcolato come somma del tasso di natalità e di mortalità delle imprese in un determinato Paese o settore dell’economia, misura il grado complessivo di dinamismo del tessuto imprenditoriale. Valori elevati indicano un mercato molto dinamico, caratterizzato da una grande quantità di imprese in entrata e in uscita. Questo può essere un segnale di forte concorrenza e innovazione, ma anche di instabilità. Al contrario, un valore contenuto del churn rate suggerisce maggiore stabilità del mercato, con poche nuove imprese e poche chiusure, che può essere indice di maturità economica, ma può anche costituire un segnale di rigidità e scarsa innovazione. L’Italia si colloca tra le ultime quattro posizioni in Europa per churn rate (14,6%), 5 p.p. in meno rispetto alla media UE (19,2%). Il churn rate delle imprese italiane è inferiore rispetto alla media UE in quasi tutti i settori economici NACE, fanno eccezione alcuni settori in cui il tasso delle imprese italiane è leggermente superiore alla media UE: sanità e assistenza sociale (20%); istruzione (24,2%) e attività artistiche, ricreative e del divertimento (21,8%).
Imprese sopravvissute a 3 anni dalla loro costituzione, per divisione NACE
Nel 2022, in Italia le imprese sopravvissute dopo 3 anni dalla loro costituzione erano 201.800, al secondo posto in Europa dietro la Francia (366.700 imprese), terza contando anche la Turchia (246.300 imprese). I settori economici che contano il maggior numero di imprese sopravvissute a tre anni dalla loro costituzione sono: il manifatturiero (11.833); il settore delle costruzioni (25.106); il commercio (41.335) e il settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche (41.251).
Nel 2022, in Italia le imprese sopravvissute dopo 3 anni dalla loro costituzione erano 201.800, al secondo posto in Europa dietro la Francia (366.700 imprese), terza contando anche la Turchia (246.300 imprese). I settori economici che contano il maggior numero di imprese sopravvissute a tre anni dalla loro costituzione sono: il manifatturiero (11.833); il settore delle costruzioni (25.106); il commercio (41.335) e il settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche (41.251).
Quota delle imprese sopravvissute a 3 anni dalla loro costituzione per divisione NACE
Le imprese italiane sopravvissute dopo 3 anni dalla loro costituzione rappresentano il 4,4% della popolazione totale delle imprese attive, una quota tra le più basse in Europa, 1,5 punti percentuali inferiore rispetto alla media UE (5,9%). La quota di imprese sopravvissute a 3 anni dalla loro costituzione è particolarmente limitata nei settori: dell’estrazione mineraria (1,7%) e della fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (2,6%), mentre è leggermente più elevata nel settore delle attività d’informazione e comunicazione (5,5%); attività artistiche, di intrattenimento e divertimento (5,9%) e ICT in senso stretto (5,2%), in questi settori il dato italiano è tra i più bassi in Europa.
Le imprese italiane sopravvissute dopo 3 anni dalla loro costituzione rappresentano il 4,4% della popolazione totale delle imprese attive, una quota tra le più basse in Europa, 1,5 punti percentuali inferiore rispetto alla media UE (5,9%). La quota di imprese sopravvissute a 3 anni dalla loro costituzione è particolarmente limitata nei settori: dell’estrazione mineraria (1,7%) e della fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (2,6%), mentre è leggermente più elevata nel settore delle attività d’informazione e comunicazione (5,5%); attività artistiche, di intrattenimento e divertimento (5,9%) e ICT in senso stretto (5,2%), in questi settori il dato italiano è tra i più bassi in Europa.
Tasso di crescita occupazionale delle imprese sopravvissute a 3 anni, per divisione NACE
Il tasso di crescita occupazionale nelle imprese italiane sopravvissute a 3 anni dalla loro costituzione, calcolato come il rapporto percentuale di occupati in queste imprese rispetto al numero di occupati nelle stesse imprese al momento della loro nascita, è pari al 78%, un tasso superiore alla media UE di circa 20 punti percentuali (58,8%), e al dato relativo alle imprese tedesche (59,4%). Il tasso di crescita occupazionale delle nuove imprese italiane è molto superiore al dato relativo alla Spagna (35,5%), ma inferiore rispetto al tasso di crescita occupazionale in Francia (103,5%). I settori dell’economia italiana in cui è più elevato il tasso di crescita occupazionale delle imprese sopravvissute a 3 anni dalla loro costituzione sono: estrazione mineraria (213%, prima posizione in Europa); trasporto e magazzinaggio (149,6%, quarto posto in Europa); fornitura energetica (127%) e fornitura di acqua assieme a gestione dei rifiuti (137%), tuttavia entrambi i settori poco al di sopra della media UE; costruzioni (111%), quasi il doppio rispetto alla media UE (60,5%). I settori dell’economia italiana in cui si osserva una crescita occupazionale più contenuta sono: attività artistiche e di intrattenimento (43%), leggermente al di sopra della media UE (41%); sanità e assistenza sociale (49%), leggermente inferiore alla media UE (53,8%); attività professionali, tecniche e scientifiche (41%), quasi 8 punti percentuali al di sotto della media UE (48,8%).
Il tasso di crescita occupazionale nelle imprese italiane sopravvissute a 3 anni dalla loro costituzione, calcolato come il rapporto percentuale di occupati in queste imprese rispetto al numero di occupati nelle stesse imprese al momento della loro nascita, è pari al 78%, un tasso superiore alla media UE di circa 20 punti percentuali (58,8%), e al dato relativo alle imprese tedesche (59,4%). Il tasso di crescita occupazionale delle nuove imprese italiane è molto superiore al dato relativo alla Spagna (35,5%), ma inferiore rispetto al tasso di crescita occupazionale in Francia (103,5%). I settori dell’economia italiana in cui è più elevato il tasso di crescita occupazionale delle imprese sopravvissute a 3 anni dalla loro costituzione sono: estrazione mineraria (213%, prima posizione in Europa); trasporto e magazzinaggio (149,6%, quarto posto in Europa); fornitura energetica (127%) e fornitura di acqua assieme a gestione dei rifiuti (137%), tuttavia entrambi i settori poco al di sopra della media UE; costruzioni (111%), quasi il doppio rispetto alla media UE (60,5%). I settori dell’economia italiana in cui si osserva una crescita occupazionale più contenuta sono: attività artistiche e di intrattenimento (43%), leggermente al di sopra della media UE (41%); sanità e assistenza sociale (49%), leggermente inferiore alla media UE (53,8%); attività professionali, tecniche e scientifiche (41%), quasi 8 punti percentuali al di sotto della media UE (48,8%).
Dimensione delle nuove imprese, numero medio per divisione NACE
Le nuove imprese italiane in media contano poco più di un occupato (1,09), un dato in linea con la media UE (1,07), quasi il doppio rispetto alla dimensione media delle imprese in Francia (0,58), ma inferiore rispetto alla dimensione media delle nuove imprese in Spagna (1,28) e Germania (1,62). In Italia i settori economici in cui la dimensione media delle nuove imprese è più elevata sono: trasporti e magazzinaggio (2,09 occupati), al secondo posto in Europa dietro alla Germania (2,35 occupati), quasi il doppio rispetto alla media UE (1,11), e il settore alberghiero e della ristorazione (1,8 occupati), in linea con la media UE (1,8 occupati).
Le nuove imprese italiane in media contano poco più di un occupato (1,09), un dato in linea con la media UE (1,07), quasi il doppio rispetto alla dimensione media delle imprese in Francia (0,58), ma inferiore rispetto alla dimensione media delle nuove imprese in Spagna (1,28) e Germania (1,62). In Italia i settori economici in cui la dimensione media delle nuove imprese è più elevata sono: trasporti e magazzinaggio (2,09 occupati), al secondo posto in Europa dietro alla Germania (2,35 occupati), quasi il doppio rispetto alla media UE (1,11), e il settore alberghiero e della ristorazione (1,8 occupati), in linea con la media UE (1,8 occupati).
Quota occupazionale delle imprese nate, per divisione NACE
Gli occupati nelle nuove imprese italiane, nel complesso, rappresentano il 2,2% degli occupati totali nelle imprese attive, una quota sostanzialmente in linea con la media UE (2,3%) e con il dato osservato in Francia (2,1%) e Spagna (2,5%), mentre è esattamente il doppio rispetto alla quota corrispondente in Germania (1,1%). I settori dell’economia italiana in cui è più elevata la proporzione di occupati in nuove imprese sono: attività artistiche e di intrattenimento (5,8%), circa 1 punto percentuale al di sopra della media UE (4,9%); istruzione (5,4%), leggermente superiore alla media UE (5%); attività professionali, scientifiche e tecniche (5,9%), quasi 2 p.p. al di sopra della media UE (4.1%). Al contrario, i settori economici in cui la quota di occupati nelle nuove impese italiane è minima rispetto al totale sono: fornitura energetica (0,3%), nettamente inferiore alla media UE (1,1%); fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (0,2%), ultima posizione in Europa; attività manifatturiere (0,6%), leggermente inferiore alla media UE (0,8%).
Gli occupati nelle nuove imprese italiane, nel complesso, rappresentano il 2,2% degli occupati totali nelle imprese attive, una quota sostanzialmente in linea con la media UE (2,3%) e con il dato osservato in Francia (2,1%) e Spagna (2,5%), mentre è esattamente il doppio rispetto alla quota corrispondente in Germania (1,1%). I settori dell’economia italiana in cui è più elevata la proporzione di occupati in nuove imprese sono: attività artistiche e di intrattenimento (5,8%), circa 1 punto percentuale al di sopra della media UE (4,9%); istruzione (5,4%), leggermente superiore alla media UE (5%); attività professionali, scientifiche e tecniche (5,9%), quasi 2 p.p. al di sopra della media UE (4.1%). Al contrario, i settori economici in cui la quota di occupati nelle nuove impese italiane è minima rispetto al totale sono: fornitura energetica (0,3%), nettamente inferiore alla media UE (1,1%); fornitura di acqua e gestione dei rifiuti (0,2%), ultima posizione in Europa; attività manifatturiere (0,6%), leggermente inferiore alla media UE (0,8%).
Imprese ad alta crescita occupazionale, per divisione NACE
In Italia, complessivamente, sono 14.635 le imprese ad alta crescita occupazionale, definite come imprese, con almeno 10 dipendenti, con una crescita media annua del numero di occupati superiore al 10% annuo, nel corso di un periodo di 3 anni. L’Italia si colloca in terza posizione in Europa per numero di imprese ad alta crescita occupazionale, dopo Germania (34.407) e Spagna (16.139), quarta contando anche la Turchia (29.986). I settori dell’economia italiana che contano il maggior numero di imprese ad altra crescita occupazionale sono: il manifatturiero (3.666 imprese), al secondo posto in Europa poco dietro la Germania (3.691), terzo posto contando anche la Turchia, nettamente in prima posizione (9.609); il settore delle costruzioni (2.160 imprese), dietro Turchia (4.227), Germania (3.598) e Spagna (2.516) e nel settore del commercio (2162 imprese), dietro Germania (6.596), Turchia (6.133) e Polonia (2.260).
In Italia, complessivamente, sono 14.635 le imprese ad alta crescita occupazionale, definite come imprese, con almeno 10 dipendenti, con una crescita media annua del numero di occupati superiore al 10% annuo, nel corso di un periodo di 3 anni. L’Italia si colloca in terza posizione in Europa per numero di imprese ad alta crescita occupazionale, dopo Germania (34.407) e Spagna (16.139), quarta contando anche la Turchia (29.986). I settori dell’economia italiana che contano il maggior numero di imprese ad altra crescita occupazionale sono: il manifatturiero (3.666 imprese), al secondo posto in Europa poco dietro la Germania (3.691), terzo posto contando anche la Turchia, nettamente in prima posizione (9.609); il settore delle costruzioni (2.160 imprese), dietro Turchia (4.227), Germania (3.598) e Spagna (2.516) e nel settore del commercio (2162 imprese), dietro Germania (6.596), Turchia (6.133) e Polonia (2.260).
19.1 QUOTA DI IMPRESE AD ALTA CRESCITA OCCUPAZIONALE, PER DIVISIONE NACE
Le imprese italiane ad alta crescita occupazionale sono concentrate in misura maggiore nei settori: manifatturiero (25%), circa 10 p.p. al di sopra della media UE (15%), una quota nettamente superiore rispetto a Germania (11%), Francia (10%) e 7 p.p. superiore rispetto alla Spagna (18%); nel settore del commercio (15%), leggermente al di sotto della media UE (18%) e della quota corrispondente in Germania (19%), ma sostanzialmente in linea con il dato in Francia (15%) e Spagna (15%); il settore delle costruzioni (15%), una quota poco distante dalla media UE (13%) e dalla quota corrispondente in Francia (13%), Germania (11%) e Spagna (16%). Invece, solo il 4% delle imprese italiane ad alta crescita occupazionale è collocato nel settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche, meno della metà rispetto alla media UE (9%) e alla quota corrispondente in Spagna e Germania (10%) e meno di un terzo rispetto alla Francia (13%).
Le imprese italiane ad alta crescita occupazionale sono concentrate in misura maggiore nei settori: manifatturiero (25%), circa 10 p.p. al di sopra della media UE (15%), una quota nettamente superiore rispetto a Germania (11%), Francia (10%) e 7 p.p. superiore rispetto alla Spagna (18%); nel settore del commercio (15%), leggermente al di sotto della media UE (18%) e della quota corrispondente in Germania (19%), ma sostanzialmente in linea con il dato in Francia (15%) e Spagna (15%); il settore delle costruzioni (15%), una quota poco distante dalla media UE (13%) e dalla quota corrispondente in Francia (13%), Germania (11%) e Spagna (16%). Invece, solo il 4% delle imprese italiane ad alta crescita occupazionale è collocato nel settore delle attività professionali, scientifiche e tecniche, meno della metà rispetto alla media UE (9%) e alla quota corrispondente in Spagna e Germania (10%) e meno di un terzo rispetto alla Francia (13%).